Vito Petrocelli non molla la sua poltrona di presidente della commissione Esteri del Senato. Il parlamentare, cacciato dal Movimento 5 Stelle e aspramente criticato dall’intero arco parlamentare per le sue posizioni contro le sanzioni a Mosca e l’invio di armi all’Ucraina, non ha alcuna intenzione di lasciare il suo posto.

Il senatore lucano lo ribadisce all’Agi nel giorno in cui la Giunta per il regolamento prenderà una decisione sulla sua estromissione dalla commissione Esteri. “Non mi dimetto perché sento di rappresentare la Costituzione, la volontà degli italiani che non hanno più partiti che la rappresentino in Parlamento. Onorerò gli impegni per la pace e il dialogo internazionale che ho preso con gli elettori nel 2018”,  dice il ‘compagno Petrov’, come veniva chiamato dai colleghi pentastellati per le sue posizioni filorusse.

Quanto all’ipotesi di una “rimozione forzata” dalla sua carica, per Petrocelli “sarebbe un segnale tremendo per la democrazia parlamentare di questo Paese. Sento di rappresentare la volontà degli italiani che non hanno più partiti che la rappresentino in Parlamento”. A sostegno di questa tesi il senatore ex M5S cita i “sondaggi inequivocabili” che dimostrano come “la stragrande maggioranza degli italiani non voglia l’invio delle armi all’Ucraina né considerare la Russia un nemico”.

Ma negli altri partiti i toni sono durissimi contro Petrocelli. “Non si è mai visto un presidente di commissione così legato alla sua poltrona. E dire che Vito Petrocelli viene dal M5S. Oggi la giunta del regolamento, con il concorso di tutti i gruppi parlamentari, indichi la soluzione. La sua permanenza alla commissione Esteri porta discredito internazionale all’Italia“, tuona il senatore Dem Andrea Marcucci.

Partito Democratico che, stando a fonti interne interpellate dall’Ansa, pur pronto ad individuare tutte le soluzioni per rimuovere il senatore, insiste per la sostituzione. Altre strade come le dimissioni collettive dei membri della commissione allungherebbero i tempi della soluzione, spiegano dal Nazareno.

L’espulsione dal Movimento 5 Stelle era arrivata dopo un tweet di Petrocelli sul 25 aprile, data in cui si celebra la Liberazione dal nazi-fascismo, in cui il senatore scriveva: “Per domani buona festa della LiberaZione”, con una Z in maiuscolo che richiamava il simbolo utilizzato sui mezzi militari russi in Ucraina.

Una “provocazione inqualificabile”, l’aveva definita Giuseppe Conte annunciando l’espulsione di Petrocelli, che a a sua volta aveva risposto al leader dei grillini ricordando come la sua posizione sulla Russia e sulla politica estera fosse la stessa “del governo Conte I e del programma con cui sono stato eletto nel 2018, prima che arrivassero il PD e Draghi”.

Questione su cui Petrocelli torna oggi nel colloquio con l’Agi: “Ho profondo rispetto del 25 aprile, una data che ha segnato tutta la mia esperienza politica fin da giovane. Vederla trasformata in una operazione di marketing bellico con bandiere Nato e slogan dei neo-nazisti ucraini rappresenta una vergogna incancellabile per chi lo ha permesso. Io continuerò a festeggiare il 25 aprile come il giorno della liberazione dal nazi-fascismo, non come il suo sdoganamento. Chi lo sta permettendo tutti i giorni in Italia e nel resto dell’Europa sta producendo effetti devastanti che peseranno per molti anni a venire. Il mio tweet era una provocazione e serviva a sollevare la questione con forza”.

I quattro scenari

Oggi la Giunta per il regolamento dovrà dunque individuare la strada migliore per superare lo stallo dal ‘no’ di Petrocelli alle dimissioni. Quella chiesta dal Partito Democratico è la sostituzione, che dovrebbe essere imposta dalla capogruppo 5 Stelle Mariolina Castellone, per mettere al suo posto un altro senatore.

Io ho detto che non farò forzature come presidente del gruppo sul regolamento al Senato, che non prevede la sostituzione del presidente di commissione. Il movimento ha già preso le distanze con l’espulsione ma una cosa è il gruppo e una cosa è la presidenza della commissione, e su questo deciderà Casellati”, ha però chiarito la stessa capogruppo grillina.

Altra ipotesi è quella dello scioglimento della commissione, con un precedente risalente a 14 anni quando Riccardo Villari venne insediato alla guida della Vigilanza Rai con i voti del centrodestra. Il Pd, il suo partito, lo espulse e tutti i commissari si dimisero in blocco, obbligando gli allora presidenti di Camera e Senato a decretare la fine della Commissione.

Terza strada è quella della modifica del regolamento per introdurre il voto di sfiducia del presidente di Commissione tramite una maggioranza qualificata pari o superiore ai due terzi dei componenti. Soluzione che spetta però alla presidente del Senato Casellati, che non sembra essere favorevole ad un colpo di mano.

Ultima ipotesi è legata alla recente espulsione di Petrocelli dal gruppo 5 Stelle, col senatore che finirà dunque nel Misto. A quel punto la sua capogruppo, l’esponente di Leu Loredana De Petris, verificando che nella commissione in questione ci sono già due rappresentanti del suo gruppo, potrebbe notificare a Petrocelli il trasferimento d’ufficio ad altra Commissione per sovrannumero.

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Romano di nascita ma trapiantato da sempre a Caserta, classe 1989. Appassionato di politica, sport e tecnologia