La Procura di Torino ha aperto un’inchiesta per vederci chiaro sul caso di Musa Balde, il giovane migrante originario del Gambia morto suicida a 23 anni nel Cpr di Torino. Il ragazzo era stato vittima di un violento pestaggio a suon di bastonate a Ventimiglia lo scorso 9 maggio, quando tre italiani attualmente denunciati a piede libero lo avevano aggredito.

Per i responsabili del pestaggio, due siciliani di Agrigento, di 28 e 39 anni, e un 44enne di Palmi (Reggio Calabria), tutti domiciliari a Ventimiglia, gli investigatori avevano escluso l’azione “per odio razziale”. I tre erano stati individuati in meno di 24 ore dalla polizia di Imperia: lo avevano accusato di aver rubato un telefonino ma Musa si era proclamato innocente, spiegando di esser stato picchiato mentre chiedeva l’elemosina.

Dopo quei fatti il 24enne era stato trasportato all’ospedale di Bordighera e poi trasferito nel Centro permanenza per il rimpatrio di Torino di corso Brunelleschi perché, dopo gli accertamenti, era risultato non in regola con i documenti e risultava già espulso.

Una volta entrato nel Cpr però le sue condizioni, sia fisiche che psicologiche, sono peggiorate: il giovane ghanese era stato anche posto in isolamento per motivi sanitari e nella notte tra sabato e domenica si è tolto la vita impiccandosi con un lenzuolo, nel bagno della sua stanza. A trovarlo privo di vita erano stati alcuni operatori del Cpr, nella notte nessuno si era accorto di nulla.

Drammatico anche il racconto del suo avvocato, Gianluca Vitale, raccolto dal Corriere della Sera: “Era provato, stanco, probabilmente depresso. Lo avevo visto pochi giorni fa e stavo cercando di oppormi alla sua espulsione per motivi giudiziari. Non riusciva a capire il motivo per cui, dopo aver subito un’aggressione così violenta, fosse stato privato della libertà”.

Nel colloquio avuto dopo il pestaggio, spiega ancora Vitale, “mi ha detto che nessuno degli inquirenti lo aveva ascoltato. Era finito in camera di sicurezza e poi nel centro di Torino. Continuava a ripetermi che voleva uscire e che lì dentro non sarebbe rimasto a lungo”.

Musa Balde era in Italia da cinque anni, arrangiandosi tra lavori saltuari dopo esser stato per un periodo anche in Francia. “Avvocato, io di qui devo uscire, non ce la faccio”, sono state le ultime parole dette al suo avvocato.

“Più volte ho ribadito l’inadeguatezza dei Cpr, in particolare la struttura di Torino si caratterizza per l’assoluta inaccettabilità della parte cosiddetta ‘Ospedaletto’, dove il ragazzo era trattenuto. Lo abbiamo segnalato più volte alla prefettura – sottolinea a Redattore Sociale il Garante per le persone private della libertà Mauro Palma -. In questo caso siamo di fronte a una situazione molto particolare. Mi lascia molto perplesso che sia stata questa la risposta dello Stato a una persona che aveva subito violenza. Mi chiedo se la sua fragilità sia stata presa in carico, era un obbligo dell’ente gestore. Che supporto è stato dato a questo ragazzo? Dobbiamo chiedercelo innanzitutto come collettività, perché c’è una responsabilità collettiva in questa storia”.

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Napoletano, classe 1987, laureato in Lettere: vive di politica e basket.