Tra Centro e Pd
Picierno replica a Bettini: il centrosinistra costruisca un’alternativa ma la vocazione maggioritaria non si tocca
Gentile direttore,
ho letto con interesse il contributo che Goffredo Bettini ha offerto al dibattito pubblico sulla necessità di individuare l’alternativa alla destra e a questa esperienza di governo. Nel contesto ancora accidentato di questa necessità, si sta sviluppando l’idea di un autonomo contributo liberaldemocratico: un’autonoma iniziativa politica di centro che possa allargare i confini di un’alleanza o – come più spesso viene chiamato – di un campo che rischia di essere spostato “troppo a sinistra”.
Guardo con grande attenzione a questa discussione, e credo che l’importanza della posta in gioco dovrebbe farci essere meno condizionati nel ragionamento da presunte geometrie elettorali che, come spesso capita, s’infrangono poi miseramente sulla complessità della politica.
Con la franchezza che mi contraddistingue, così come contraddistingue il caro Bettini, dico in premessa che non ho mai confuso la vocazione maggioritaria con un teorema geometrico. Se è vero che le condizioni elettorali di oggi sono profondamente mutate rispetto a quelle del 2008, è anche vero che le condizioni di arretratezza, di iniquità, di lentezza, di conservazione, di isolamento del paese sono rimaste per lo più immutate. A questo si è aggiunto, ed è un tratto comune di tutto l’Occidente, un devastante arretramento di reddito e di funzione del ceto medio. Condizioni non imputabili genericamente alla società italiana, ma alle strutture istituzionali, alla qualità della rappresentanza politica, alle capacità amministrative.
Furono queste le condizioni principali che ci portarono alla nascita del Partito democratico e fu, innanzitutto, l’ambizione collettiva di affrontare questi nodi in un disegno complessivo di riforma, attraverso lo strumento di un partito pluralista e aperto, dal consenso ampio e popolare. Questo spirito maggioritario non può essere sacrificato neanche in una logica coalizionale. Il rischio sarebbe quello di essere un’alternativa alla destra ma drammaticamente non un’alternativa per il paese. Che è quello che esattamente manca, a sinistra come al centro.
Un’alternativa idea d’Europa, più libera, più forte, più competitiva, più equa. Un’alternativa idea di politica industriale, più in sintonia con gli obiettivi ambiziosi di contrasto al cambiamento climatico. Un’alternativa idea di politica fiscale, più vicina al ceto medio, alla produzione, al lavoro. Un’alternativa idea di Stato e di legge elettorale, non solo per rispondere al disegno sbagliato della destra di autonomia e di premierato, ma per cambiare il paese, il suo rapporto ormai consumato con la rappresentanza. Un’alternativa idea dei servizi pubblici, che non risiede solo nel suo rifinanziamento ma anche nella sussidiarietà e in una profonda revisione della spesa. Un’alternativa idea di mondo dove raccogliamo, da socialisti e democratici, la sfida contemporanea alle democrazie.
È questa l’alternativa di cui abbiamo bisogno. Il nostro peggior avversario è sì la destra, ma la destra che prospera nell’esasperata polarizzazione dei nostri tempi, composta da partiti che trovano consolatorio rinchiudersi in prospettive identitarie costruite a uso e consumo della propria cerchia di elettori. Se c’è una cura, io penso che quella sia rappresentata dai partiti popolari e plurali, non da improbabili “ritorni a emozioni positive” grazie a cui vivemmo passate e tribolate stagioni di centrosinistra.
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