Pogback andata senza ritorno. Anacronistico forse visto i tempi e i modi del suo “buen retiro” torinese iniziato pressappoco un anno fa. Poteva sembrare l’inizio di una nuova storia in maglia bianconera. Poteva. Perché la realtà ci racconta un’evidente collisione con i fattacci che lo hanno perseguitato prima e che si è trovato ad affrontare poi. Dall’infortunio con l’operazione al ginocchio inizialmente rimandata, all’estorsione subita con il placet del fratello, fino alla fine di un tunnel che sembrava vicina dopo una stagione da dimenticare con il mondiale saltato. Se non fosse stato per quel test antidoping dopo la prima giornata di campionato che riporta alla luce un tema scottante dello sport.

Positività al testosterone tradotto “Doping”. Parola usata e talvolta abusata. Il distinguo però è d’obbligo. C’è il tema della volontarietà che sposta e in questo caso la cifra del reato può essere valutata soltanto dopo le controanalisi che, se confermate, porteranno alla squalifica del francese e probabilmente alla fine della sua carriera da calciatore con conseguente possibilità di risoluzione del contratto da parte del club bianconero. Per il momento sembra troppo presto per fare ipotesi, Pogba è stato comunque sospeso in via cautelare dal tribunale antidoping con la Juventus che resta alla finestra. La sua agente Rafaela Pimenta punta sulla tesi dell’assunzione involontaria della sostanza anche perché, e a questo ci risulta facile credere, il testosterone non migliora così evidentemente le prestazioni di un atleta e può essere assunto in tanti modi anche inconsapevolmente.

E in questa direzione arriva anche la versione del giocatore, ovvero l’assunzione della sostanza incriminata attraverso un integratore acquistato negli Stati Uniti e consigliatogli da un amico medico estraneo alla Juventus. Peccato che le regole antidoping americane siano diverse da quelle vigenti in Italia. Ma al di là del risultato la questione più lampante di tutta la vicenda Pogba 2.0 è una. Il talento non basta. Non ci si può adagiare su quel (poco o tanto) che si ha. Perché a perdere tutto e a buttarsi via è davvero un attimo. Vale nella vita come nello sport dove di esempi così ce ne sono davvero troppi. Dal punto di vista umano la storia dell’ultimo Pogba è devastante. E non può essere solo sfortuna o casualità. Non migliorare equivale a peggiorare e Pogba ha intrapreso, suo malgrado e involontariamente, ma inevitabilmente, una parabola folle dal suo addio alla Juventus. Dal 2016 in avanti non è stato più lui, più problemi che gol. Più gossip che assist. Per questo forse era arrivata anche la scelta, una delle poche apparentemente corrette negli ultimi anni, di tornare alla Juventus. Per dimostrare di potersi riprendere tutto. Come nei sogni, che se cavalcati male rischiano però di trasformarsi in un incubo.

Giorgia Rossi

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