In Libia nel 2019 l’Alto commissariato Onu per i diritti umani, insieme alla missione Onu di supporto in Libia Unsmil, ha documentato la morte di almeno 284 civili e 363 feriti in relazione al conflitto armato, in aumento di oltre un quarto rispetto al numero delle vittime registrate nello stesso periodo del 2018. Lo riferisce il portavoce dell’Alto commissario Onu per i diritti umani (Ohchr), Rupert Colville: “Siamo preoccupati per il deterioramento della situazione dei diritti umani in Libia, che comprende l’impatto del conflitto in corso sui civili, gli attacchi contro difensori dei diritti umani e giornalisti, il trattamento di migranti e rifugiati, le condizioni di detenzione e impunità”, afferma Colville in una nota.

L’Ohchr precisa che la principale causa di morti fra i civili sono stati gli attacchi aerei, che hanno provocato 182 morti e 212 feriti; a seguire i combattimenti sul terreno, gli ordigni artigianali, i rapimenti e le uccisioni. Sempre nel 2019, l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) ha documentato 61 attacchi legati al conflitto contro strutture e personale sanitari, il che costituisce un aumento del 69% rispetto allo stesso periodo del 2018.

LIBIA PORTO NON SICURO – L’Alto commissariato Onu per i diritti umani tratta nella nota anche un tema molto ‘caro’ ai sovranisti nostrani, ovvero il trattamento subito dai migranti e rifugiati in Libia, considerata da Matteo Salvini un “porto sicuro”. “Fra gennaio e novembre oltre 8.600 migranti sono stati intercettati in mare dalla guardia costiera libica e riportati in Libia, che non può in nessun modo essere considerata un porto sicuro per lo sbarco”. Lo afferma in una nota l’Alto commissariato Onu per i diritti umani (Ohchr). “Molti di coloro che sono stati intercettati sono stati riportati in centri ufficiali e non ufficiali di detenzione, dove vengono regolarmente sottoposti a gravi violazioni dei diritti umani e abusi“, segnala l’Ohchr.

“Il trattamento di migranti e rifugiati in Libia è questione di grande preoccupazione dagli ultimi anni e continuano a essere sottoposti a violazioni e abusi, che includono esecuzioni extragiudiziali e uccisioni arbitrarie, detenzione arbitraria, sparizioni forzate, tortura, violenze sessuali e basate sul genere, rapimenti per riscatto, estorsione e lavori forzati, da parte di funzionari dello Stato, trafficanti e contrabbandieri”, avverte ancora l’Onu.

APPELLO DELLA UE SULLE ARMI – “Alla luce della continua escalation in Libia, in particolare nei dintorni di Tripoli, l’Unione europea ribadisce il suo appello a tutte le parti libiche affinché cessino tutte le azioni militari e riprendano il dialogo politico. Non esiste una soluzione militare alla crisi in Libia. L’unico modo per risolverlo deve essere politico, negoziato sulla base delle proposte recentemente avanzate dalle Nazioni Unite”. Lo scrive in una nota il portavoce dell’Alto rappresentante dell’Ue per gli Affari esteri, Joseph Borrell ribadendo che “tutti i membri della comunità internazionale dovrebbero osservare e rispettare l’embargo sulle armi delle Nazioni Unite“. L’Ue, continua, “sostiene fermamente gli sforzi del rappresentante speciale delle Nazioni Unite Ghassan Salamé e del processo di Berlino, in quanto unica via per il rilancio del processo politico libico e la ricostruzione di una Libia pacifica, stabile e sicura”.

Borrell continua esortando “tutti i partecipanti al processo di Berlino” a “impegnarsi in modo costruttivo per giungere a una soluzione pacifica del conflitto, che preservi la sovranità libica e sia negoziato nell’interesse di tutti i libici”. L’alto rappresentante dell’Ue per la politica estera e di sicurezza Josep Borrell, “è impegnato a rafforzare gli sforzi diplomatici dell’Ue in questo senso e a continuare a contattare i partner internazionali”.

Redazione

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