Dopo lo sciopero di ieri
Poste e Tim: l’investimento è strategico. Ma i ministeri si muovono in ordine sparso e Meloni ha altre priorità

Ieri c’è stato lo sciopero dei lavoratori del settore delle telecomunicazioni del quale non si è accorto nessuno, perché i binari digitali devono funzionare sempre e comunque, ventiquattr’ore al giorno, e non c’è chiodo che possa fermarle. Il prossimo 24 aprile, i ministri Urso (MIMiT) e Calderone (Lavoro) incontreranno sindacati e Assotelecomunicazioni per discutere la situazione del settore. Secondo indiscrezioni, il Governo metterebbe in campo alcuni incentivi alla connettività per le imprese e le famiglie e qualche ammortizzatore sociale. Tutte misuri utili, certo, ma continua a mancare una politica industriale per il comparto.
Frequenze sullo sfondo
I ministeri si muovono in ordine sparso, ciascuno per quanto è nella sua disponibilità tecnica, senza che il Governo nel suo complesso esprima un disegno coerente. Il ministro Urso sarebbe titolare della vigilanza sull’intero settore e quindi dovrebbe farsi carico di una regia, chiamando in causa anche i colleghi e le autorità indipendenti che pure hanno un impatto sui costi aziendali. Temi come la proroga delle concessioni sulle frequenze — in Brasile le frequenze per il 5G sono state date in concessione gratuitamente in cambio di obblighi di copertura e la scorsa settimana la Germania ha prorogato gratuitamente le concessioni in scadenza — non sono formalmente nelle sue disponibilità ma sono certamente nel perimetro della sua competenza politica. Eppure restano sullo sfondo, perché sulla questione dei proventi dell’erario si può esprimere soltanto Giorgetti.
Il comparto delle telecomunicazioni rimane senza una guida
Altre questioni cruciali, come il riequilibrio tra operatori di rete e grandi generatori di traffico su Internet (gli OTT), sono delegate al sottosegretario Butti ma le tensioni con l’amministrazione USA (e la concorrenza tutta interna a FdI con via Veneto) inducono a rinviare interventi risolutivi. Nel frattempo, la presidente Meloni ha – comprensibilmente – altre priorità, e il comparto delle telecomunicazioni rimane senza una guida. Nel frattempo, Poste Italiane è entrata nel capitale di TIM con una funzione di controllo ma il rischio è che la politica confonda possibili sinergie commerciali con il tanto atteso consolidamento industriale. Con 4 reti mobili e 2 reti fisse in fibra ottica disponibili sul territorio, gli attori economici sono spronati a riempire le infrastrutture per le quali hanno già investito, anche sottocosto, con la conseguenza di prosciugare le risorse necessarie per gli investimenti. Perché a questo dovrebbe essere interessato il Governo: che gli operatori abbiano spazio per fare quegli investimenti che servono per diffondere in modo capillare la fibra ottica e la copertura mobile con il 5G stand-alone e dotare le imprese di tecnologie avanzate, in favore della produttività e quindi della competitività internazionale del tessuto produttivo italiano.
Una politica industriale organica
Uno scopo che può essere perseguito soltanto attraverso un vero e proprio design del quadro in cui si muovono gli operatori: una politica industriale organica, che metta ordine nel groviglio normativo e regolamentare, attraverso il coordinamento di diversi ministri. Solo così si potrà assicurare un futuro alle partecipazioni di Poste in TIM e a quelle del Tesoro in FiberCop e di CDP in Open Fiber, e di conseguenza l’occupazione in queste aziende. La posta in gioco è economica e strategica: l’Italia ha bisogno di infrastrutture digitali all’avanguardia per competere ad armi pari sullo scenario globale, usando la tecnologia per promuovere la produttività. È tempo di smettere di rincorrere le emergenze con misure tampone. Serve una visione. Serve una politica industriale.
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