Democrazie in Progress
L'intervista all'avvocato Andrea Del Forno
Privacy, libertà e dati: un nuovo equilibrio nell’era della “Sorveglianza” globale?

Il tema dei dati e della privacy degli utenti sul digitale diventa sempre di più stringente attualità e importanza, per le conseguenze che può avere non solo nell’ambito del mercato, ma soprattutto per la qualità dell’informazione e quindi delle nostre democrazie.
Ne ho parlato di recente con un giovane studioso appassionato di diritto e nuove tecnologie: Andrea Del Forno, Dottorando in Diritto Civile e Commerciale presso l’Università degli Studi di Siena e Foggia. Ha svolto diverse pubblicazioni e convegni, anche internazionali, in materia di intelligenza artificiale, dati personali, social scoring e credit scoring, nuove tecnologie e Metaverso. Abilitato come avvocato, svolge consulenza legale in tali ambiti, oltre che in diritto civile, bancario e commerciale. Credo sarà sempre più opportuno un confronto aperto, libero e franco fra politica, giuristi ed esperti di digitale su questi temi cruciali per le nostre società nei decenni che verranno: questa intervista vuole essere solo uno dei primi scambi con i quali inauguriamo un filone che proseguirà nei prossimi mesi in questa rubrica.
Incominciamo da una domanda facile: i dati sono o no l’oro del nuovo millennio?
Assolutamente sì, o – se vogliamo usare le parole del World Economic Forum – il nuovo petrolio: questo perché, così come il petrolio consentì lo sviluppo socioeconomico mondiale del XIX e XX secolo, allo stesso modo, i dati plasmeranno sempre di più l’economia e la società dei prossimi anni. Il vero valore dei dati, però, deriva dalla loro profilazione, cioè una forma di trattamento automatizzato dei dati personali che consente di individuare alcuni aspetti degli utenti e ricavarne un ritratto delle idee e dei gusti molto dettagliato. Infatti, la profilazione viene utilizzata per fornire pubblicità personalizzata agli utenti proprio sulla base delle informazioni raccolte. Inoltre, chi ha i dati ha in mano la conoscenza: basti pensare che uno studio della Cambridge University, mediante un algoritmo in grado di prevedere tratti della personalità basandosi sulle interazioni di Facebook, ha dimostrato che, analizzando 10 like, lo stesso algoritmo conosce un utente meglio di quanto riesca a fare un collega di lavoro e – per superare fratelli e genitori – sono bastati 150 like.
La profilazione degli individui sul web è la regola nel mercato, lo sappiamo bene, ma anche in politica da ormai diversi anni: servirebbero restrizioni maggiori per l’uso dell’advertisement a fini politici vista la materia così delicata che andrebbe a influenzare?
La profilazione, dal punto di vista politico, avviene allo stesso modo: agli utenti vengono proposti determinati adv o articoli in relazione agli elementi raccolti concernenti la sfera di orientamento politico. I rischi possono essere molteplici: innanzitutto, si deve valutare il tipo di inserzioni che vengono sponsorizzate, ma soprattutto, la qualità delle stesse. Inoltre, potrebbe accadere che una persona, profilata in un certo modo, non veda mai post o adv di un altro orientamento politico, appiattendo quindi del tutto la sua stessa possibilità di formarsi e di farsi un’opinione, politica ma non solo, consapevole.
Ancora, dobbiamo considerare il fenomeno del microtargeting che, sempre sfruttando i dati raccolti dai social network, consente di identificare il profilo caratteriale e di inviare adv e messaggi idonei a persuadere quel particolare tipo di personalità. Anche questa tecnica ha preso piede in Europa e sia la Commissione Europea sia il Comitato Europeo per la protezione dei dati personali (EDPB) sono intervenuti con linee guida sull’argomento.
Tuttavia, secondo me occorre intervenire in merito alla trasparenza: mi spiego meglio, la questione non è tanto limitare il ricorso a tali strumenti per fini politici, quanto intervenire legislativamente per dettare delle regole in maniera da assicurare il rispetto di determinati criteri e distinguerlo dalla profilazione ai fini di marketing pura.
Siamo oggi dinanzi a un bivio in cui trovare un nuovo equilibrio fra sicurezza, libertà e privacy per proteggere di più le nostre società democratiche?
Sì, è come se la nostra dimensione collettiva si fosse estesa anche su un vero e proprio livello digitale e – per me – chi non accetta questa nuova dimensione rischia di rimanere fuori da quello che sarà veramente il futuro prossimo. In tale contesto, le libertà devono essere rilette e devono essere rafforzati gli strumenti a garanzie delle stesse.
Inoltre, è importante considerare che chi detiene i dati, detiene tra le mani la possibilità di influenzare la società. Per questo motivo, c’è chi afferma che oggi il colonialismo abbia cambiato forma: infatti, proprio mediante l’esplosione evolutiva delle tecnologie, giuristi e sociologi parlano di “colonialismo digitale” per intendere quel fenomeno legato al dominio mediante l’estrazione ed il controllo dei dati personali, volto sia a creare profitto sia a sviluppare nuove forme di tecnologie, quali gli algoritmi di intelligenza artificiale. La questione principale è che questo nuovo colonialismo non vede come principali soggetti fautori Stati Nazionali, dunque di rilievo pubblicistico, ma bensì le nuove potenze economiche, quindi le c.d. Big Tech quali Meta, Amazon, Apple e Microsoft.
Queste, essendo grandi corporate internazionali, detengono le tecnologie e gli strumenti idonei a consentire di realizzare questa nuova forma di colonialismo, volta ad imporre la propria primazia nell’ecosistema tecnologico ed in quello dei dati personali.
Ancora, devi considerare che anche il mercato è cambiato: ormai da anni si parla di “capitalismo della sorveglianza” proprio perché, attraverso la profilazione, il mercato riesce a controllare le nostre preferenze e a costruire dei veri e propri profili dei consumatori, con tutte le conseguenze negative del caso che, anche se in parte delimitate dagli interventi legislativi a livello sovranazionale, possono avere dei risvolti quantomeno inquietanti per le nostre società democratiche.
Se si può parlare di “Capitalismo della Sorveglianza”, a tuo avviso potremmo anche parlare oggi dell’esistenza di una “Democrazia della Sorveglianza”?
In realtà, alcune democrazie della sorveglianza esistono già: basta pensare alla Cina ed al tipo di profilazione che attua nei confronti dei propri cittadini. Il problema che ci dobbiamo porre noi in quanto consociati è: quanto siamo disposti a rinunciare alla nostra privacy ed alle nostre libertà per consentire una maggiore sicurezza? Dall’altro lato, poi, il quesito fondamentale è: chi controlla che le nostre rinunce in tal senso non siano, o non possano essere, strumentalizzate o utilizzate in maniera abusiva? È tutto qui il cuore della questione ed è necessario rifletterci nel più breve tempo possibile.
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