Georges Simenon è capace di scrivere un romanzo nel quale non succede niente “fuori” ma succede tutto “dentro” i personaggi. Esce adesso per Adelphi “La porta” (trad. di Laura Frausin Guarino), chiarissimo, esemplare prodotto del genio dello scrittore francese scritto nel 1961 verosimilmente di getto, come quasi sempre gli accadeva. Cosa si racconta in questo romanzo? Si racconta della gelosia, o meglio di come il tarlo della gelosia corroda giorno dopo giorno, attimo dopo attimo, il cervello di un uomo mite e sfortunato: in guerra è saltato su una mina e ha perso entrambe le mani, ma non per questo si ritiene un eroe. La menomazione è reale e al tempo stesso ha un significato simbolico: Bernard Foy non riesce, non può afferrare la verità sulla amata moglie, la bella Nelly, che lo ricambia di un amore voluttuoso e di una dedizione senza limiti.

“La sua gelosia risaliva a prima di Nelly. Era una sorta di tara intrinseca e poiché lo sapeva, poiché lo aveva ammesso a chiare note, non aveva più il diritto di riversarne le colpe su altri”: non è colpa di mia moglie, è tutta colpa mia! Sta qui, in questo tormentoso autoaccusarsi, la macerazione dell’animo del protagonista. Eccoli dunque, i coniugi Foy, nell’appartamentino a pochi passi da Place des Vosges, non lontano dalla Senna dove la coppia va a fare “il giro lungo“, passeggiate fatte di nulla nella Parigi accaldata di un luglio qualsiasi; ecco Bernard fare la spesa, da solo, presso quelle macellerie con i grandi banconi di marmo che oggi non esistono più; eccolo nelle stradine dove si conoscono tutti – una Parigi che era ancora un paesone con tutti suoi vizi e le sue malelingue.

Che vita è, quella di Bernard? E cosa pensa davvero sua moglie di questa esistenza più che monotona accanto a un uomo menomato che, solo grazie a strano marchingegno, riesce a colorare degli abat-jour, suo unico e un po’ triste hobby? “Foy aveva la nozione del tempo che faceva, ma non quella del tempo che passava. A distanza di anni poteva dire se il tal giorno c’era il sole o se pioveva, se l’aria era calda o fredda, calma o tempestosa. Rivedeva le foglie morte sugli alberi, o le gemme che si schiudevano. In compenso, confondeva regolarmente le date”. Però l’invalido Bernard ha un grande istinto, un forte udito, come certe bestie braccate, e sente tutto, i rumori del palazzo dove è venuto ad abitare un personaggio che nel romanzo non è descritto mai. Il tumulto interiore del protagonista cozza dunque contro il nulla della storia e Simenon, da par suo, fa crescere l’ansia attorno a questa contraddizione fino all’ultima pagina. Il personaggio di Bernard Foy rientra nella immensa galleria di figure simenoniane, circondate da un alone di mistero e di incipiente tragedia nella Parigi rumorosa, ambigua e piena di gente sola, in una storia dove l’assurdità della vita domina seminando domande senza risposte.