Immaginate un film italiano che conquista gli Stati Uniti: una storia di coraggio e fede che commuove il pubblico americano, e un’attrice protagonista celebrata dalla critica d’oltreoceano. Sembra la premessa per un orgoglio nazionale. Eppure in Italia di tutto questo non c’è quasi traccia. È il paradosso di Cabrini, pellicola diretta da Alejandro Gómez Monteverde sulla vita di Madre Francesca Cabrini e interpretata dall’attrice napoletana Cristiana Dell’Anna.

Negli USA Cabrini è stato un successo clamoroso: uscito a marzo 2024, è entrato nella top five dei film più visti in America, subito dietro a grandi blockbuster hollywoodiani. La performance intensa di Dell’Anna ha conquistato i critici statunitensi, che l’hanno indicata come il vero motore emotivo del film. L’attrice ha persino sfiorato la candidatura agli Oscar, inserita nella shortlist delle migliori 10 attrici 2024. Di fronte a tali riconoscimenti internazionali, ci si aspetterebbe entusiasmo anche in patria. Invece Cabrini in Italia non è mai arrivato nelle sale, se non in una fugace apparizione come evento speciale. Nessuna distribuzione vera e propria, nessuna promozione significativa.

Il suo successo è stato di fatto ignorato dai media italiani: salvo rare eccezioni, sulla grande stampa è calato un silenzio assordante. Quasi che quel trionfo oltreoceano non ci riguardasse, quasi che Cristiana Dell’Anna non fosse una nostra connazionale adorata all’estero. Questo sorprendente disinteresse invita a riflettere sul più ampio atteggiamento italiano verso i successi dei propri figli nel mondo. E in questo senso il tema di Cabrini – la storia di un’italiana che dedica la vita a una missione oltreoceano – diventa un simbolo perfetto di ciò che spesso non vogliamo vedere.

Chi era Francesca Cabrini?

Una suora lombarda di fine Ottocento che partì per gli Stati Uniti in soccorso degli emigranti italiani. La Madre degli emigranti, come venne chiamata, fondò scuole, orfanotrofi, ospedali; dedicò ogni energia a sostenere gli ultimi, in particolare la comunità italiana di New York oppressa da miseria e discriminazione. La sua opera fu così straordinaria che Francesca Cabrini, diventata cittadina americana, è passata alla storia come la prima santa d’America, proclamata tale nel 1946, e patrona universale degli immigrati.

Ma Cabrini non è un caso isolato. L’intera storia degli Stati Uniti è intrecciata ai contributi di italiani illustri, spesso poco ricordati in Italia. Amadeo Pietro Giannini, ad esempio, figlio di immigrati liguri, fu il banchiere visionario che fondò a San Francisco la Bank of Italy, destinata a diventare la gigante Bank of America. Giannini rivoluzionò il sistema finanziario americano, offrendo prestiti e servizi bancari alla gente comune – in primis agli immigrati – quando nessun altro lo faceva, e finanziando imprese che avrebbero plasmato il futuro (si pensi che sostenne persino la nascente industria di Hollywood).

Nel mondo dell’arte e dello spettacolo brillò Eleonora Duse, leggendaria attrice italiana che a cavallo del Novecento calcò le scene di Broadway e incantò il pubblico americano. Duse fu acclamata ovunque come “l’incomparabile Duse”, la prima grande diva internazionale del teatro, al punto da ricevere inviti alla Casa Bianca e gli elogi di personalità come George Bernard Shaw. Andando ancora più indietro, nel XVI secolo un esploratore fiorentino, Giovanni da Verrazzano, fu il primo europeo a spingersi sulle coste dell’attuale Stati Uniti fino alla baia di New York – tanto che oggi il maestoso ponte Verrazzano a New York porta il suo nome. E l’elenco potrebbe continuare: dagli scienziati ai costruttori, dagli artisti agli imprenditori.

Ebbene, quanto poco l’Italia ricorda e valorizza tutto questo! Nelle nostre scuole ed enciclopedie nazionali, nomi come Giannini o Duse, Verrazzano o Cabrini, spesso occupano a malapena una nota a pie’ di pagina – se va bene. a diaspora italiana è stata a lungo trattata con superficialità quando non con imbarazzo. Come ha osservato lo studioso Raffaele Marchetti, storicamente l’Italia ha “sottovalutato” i suoi emigrati, considerandoli qualcosa di cui non parlare troppo: dimenticati, guardati con vergogna nelle migrazioni storiche o addirittura con un vago senso di tradimento (nel caso della fuga dei cervelli). Per decenni abbiamo preferito voltare lo sguardo altrove, come se ammettere i successi dei nostri connazionali all’estero fosse difficile, o come se quei successi non ci appartenessero davvero.

Il risultato? Un vuoto di memoria collettiva. Pochi italiani sanno che un nostro connazionale fondò la più grande banca d’America, o che una nostra attrice fece impallidire perfino Sarah Bernhardt sui palcoscenici del mondo. Pochi ricordano che anche noi abbiamo “santi” laici nel pantheon americano della scienza e dell’innovazione. Questo deficit di riconoscimento è un peccato nazionale: significa perdere pezzi importanti dell’identità italiana globale. Ed eccoci di nuovo a Cabrini e a Cristiana Dell’Anna.

Il silenzio italiano attorno a questo film dal successo planetario non è che l’ennesima manifestazione di quella miopia di cui soffriamo. Una miopia culturale – e forse anche politica – che ci rende spesso incapaci di vedere oltre i nostri confini. Possibile che non si sia  creduto in un’opera capace di restare per tre mesi nelle sale USA, sostenuta dal passaparola entusiasta del pubblico? Che responsabilità ha la politica in questo o anche solo il mondo dello showbiz italiano; forse semplicemente si è sottovalutato l’interesse che una storia del genere potesse suscitare.

Di certo c’è che il pubblico americano, per settimane, ha potuto emozionarsi con la vicenda di una straordinaria italiana, di certo (e l’ho visto con i miei occhi) la nostra connazionale dell’Anna viene accolta in tutte le città d’America, da quelle grandi ai piccoli borghi, come una star interazione,  mentre il pubblico italiano quella vicenda non ha nemmeno potuto vederla. Il caso Cabrini dovrebbe farci interrogare. Perché ignorare i successi dei nostri connazionali all’estero significa, in fondo, impoverire anche noi stessi.

È ora di riaccendere l’orgoglio e la memoria. Di raccontare di più queste storie, nei media, nelle scuole, nella cultura popolare. Riconoscere la storia di sacrifici e di successi degli italiani nel mondo non è solo un dovere verso il nostro passato – è un investimento sul nostro presente e futuro. Vuol dire inspirarci ai migliori esempi di ingegno e tenacia “made in Italy” ovunque essi si manifestino. Vuol dire ricordarci che l’Italia, quando smette di essere miope, ha saputo e sa illuminare il mondo. Cabrini e Cristiana Dell’Anna ce l’hanno ricordato dall’altra parte dell’oceano. Sta a noi, adesso, aprire gli occhi.

Davide Ippolito

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