L’idea che per intelligente “realismo” bisognerebbe abbandonare il popolo ucraino a un destino di sottomissione, giacché aiutarlo a difendersi significherebbe aggravarne le sofferenze, non è davvero nuova sulla scena del nostro dibattito pubblico. Anzi, sulla scorta dell’argomento secondo cui già due anni e mezzo fa, già all’inizio dell’aggressione russa, gli ucraini avrebbero dovuto uniformarsi al “dovere morale della resa”, quell’idea realista era ben in voga e aveva profondamente impregnato la pasta di ragionamenti tutt’altro che minoritari. Ma è in forza di quel pregresso accreditamento se, oggi, l’appello al “realismo”, a questo presunto realismo, trionfa nella conclusione che no, la sovranità e la libertà del popolo invaso non valgono i vantaggi che sarebbero assicurati da un’Ucraina disarmata.

Il Corriere della Sera lo spiega con un articolo di Massimo Nava: “Anziché Churchill”, scrive, “sarebbe il caso di citare Kissinger e ricordare che il mondo di oggi è uscito da Yalta e non dalle Crociate”. Sull’assunto, par di capire, che “continuare a riempire di armi l’Ucraina” non sia degno delle lungimiranze crimeane dei vincitori della seconda guerra mondiale, e rimandi piuttosto alle ambizioni guerresche di Ottone Visconti in partenza per la Terrasanta. Così come, sempre per l’articolista del Corriere, il senso della realtà vorrebbe che la si smettesse di “sostenere senza riserve Israele per evitare l’accusa di antisemitismo”. Il fatto, se possiamo permetterci di osservarlo, è che Churchill a Yalta non solo ci stava, ma su quella sedia aveva messo il sedere dopo aver combattuto – in patria e fuori – quelli che gli dicevano prima di non preoccuparsi dell’imbianchino austriaco e poi, appunto per realismo, di lasciarlo fare perché ormai era troppo forte.

Churchill non è solo qualche citazione abusata: è quello che mandava armi a Stalin imponendosi sui tanti che gli davano contro accusandolo di trascurare il proprio paese già dissanguato. E, a dispetto di un consenso già precario, Churchill continuava a mandargliele non perché temeva l’estetica delle insegne del Terzo Reich sul Cremlino, ma perché sapeva che non vederne un’Europa tappezzata dipendeva anche dalla sconfitta tedesca su quel fronte. Giusto come mandare armi all’Ucraina non serviva due anni fa e non serve oggi (se non bastasse questo) a salvare la vita e la libertà degli ucraini, ma a impedire che su un altro avamposto violentato si impianti la promessa di sopraffazione delle libertà circostanti. Che sono le nostre.

Anche meno appropriato, poi, appare il richiamo a questo malinteso realismo quando ci si riferisce alla guerra di Gaza. Scrive il Corriere che “l’orrore per i crimini di Hamas ha oscurato le obiezioni alla reazione di Gerusalemme”. Ma a parte il fatto che questo preteso oscuramento pare abbastanza illuminato dalle quotidiane requisitorie contro il nazismo e il terrorismo di Israele, di cui forse anche il Corriere avrà avuto notizia, domandiamo: per “realismo” ce lo dimentichiamo il 7 ottobre? E soprattutto: per realismo ci dimentichiamo di quelli che promettono di volerne rifare a tappeto dal fiume al mare?