Hanno tutti ragione, eccome se ce l’hanno.

Ha ragione chi, tra i leader politici ed i commentatori, ha con forza condannato la piattaforma della manifestazione “Non una di meno” organizzata ieri a Roma contro la violenza sulle donne, decidendo di non far partecipare le proprie formazioni politiche. C’era un vergognoso ed inaccettabile riferimento all’inesistente genocidio israeliano in Palestina, non c’era al contrario neppure una mezza parola sul terrorismo di Hamas e di condanna ai femminicidi compiuti da Hamas sulle donne israeliane, come se ci fossero donne e donne, alcune da proteggere e tutelare, altre no, di serie B. Unica colpa? Essere israeliane, essere di religione ebraica.

Ha ragione chi non ha partecipato per questi motivi. Certo, sono quattro i gatti che decidono di andare ad una manifestazione leggendo la piattaforma che la convoca: più spesso si scende in piazza per un’idea di fondo, per i sentito dire, così fa la gente “normale”, a differenza di quella che approfondisce, forse anche eccessivamente. Ma chi non ha partecipato, ha fatto bene a farlo: perché quella piattaforma era indecente, ideologica, massimalista.

Ma ha anche ragione chi ha partecipato. Ha fatto benissimo a farlo. Quella manifestazione era un urlo collettivo di riscatto e di libertà. Le vie di Roma erano ieri strapiene di gente bellissima, in piazza ovviamente non per dire la propria sul conflitto in Medio Oriente, ma perché sconvolta dalla tragedia di Giulia che con angoscia tutta Italia ha vissuto la scorsa settimana e, scendendo in piazza, ha detto una cosa semplicissima: i femminicidi in Italia sono comunque sempre troppi, servono leggi più efficaci ma soprattutto serve una svolta culturale nel nostro Paese. Perché quelle vicende ci raccontano di una mascolinità che in alcuni casi sa essere eccessiva, tossica e pericolosa e di cui tutti noi maschietti, anche i più rispettosi, anche i più consapevoli, dobbiamo farci carico. Sta in noi la soluzione, non certo in cinque anni di carcere in più o in uno sportello contro la violenza. Come al Gay Pride non tutti condividono l’estrema politicizzazione dei palchi, anche ieri c’era non solo una marea di gente, ma pure gente bellissima, normalissima, per niente politicizzata ed ideologica, che sicuramente non condivideva quella piattaforma orribile, non l’aveva forse neppure letta e non era consapevole delle forzature che gli organizzatori hanno tentato di fare. Non generalizziamo, insomma: pure nel governo di Gerusalemme c’è chi dice di tirare l’atomica su Gaza, ma questo – almeno per quanto mi riguarda – non cambia di una virgola il mio sostegno allo stato di Israele.

Ha ragione pure ProVita, l’associazione anti-abortista e anti-LGBT (una associazione che per me è oscurantista), la cui sede ieri sera è stata presa d’assalto da un centinaio del mezzo milione di persone in piazza. Chi mi conosce sa quanto mi costa dire queste parole. Non difendo Provita, ci mancherebbe: difendo la libertà di opinione e di associazione, così come è sancita dalla Costituzione.  E quindi difendo il loro legittimo diritto a non sentirsi assediati nella loro sede romana da una piccola parte dei manifestanti. Insomma: “Non sono d’accordo con quello che dici, ma darei la vita perché tu lo possa dire”.

Ed infine ha ragione pure chi ha sottolineato come l’assalto a ProVita fosse minoritario. Non generalizziamo la manifestazione. In piazza a Roma c’era mezzo milione di persone. Mamme, donne single, uomini, bambine e bambini, nonne e nonni. Gente comune. E tanta, tantissima gente non ideologica, non filo-palestinese, non anti-israeliana, contro ogni forma di violenza, anche quella contro i più forti avversari (e quelli di ProVita lo sono). Davanti a Provita, in effetti, non c’era più che un centinaio di persone, queste sì ideologiche e violente.

Non è relativismo, il mio, almeno non lo credo. Non tutte le posizioni vanno bene: chi ha scritto quella piattaforma è e rimane per me uno sciacallo, chi l’ha criticata pretestuosamente ha sbagliato e sta sbagliando, chi la giudica dalla piattaforma o dagli eccessi da pochi commette un errore madornale, chi ha assaltato la sede di ProVita va perseguito penalmente a mio parere. No, non è relativismo, è solo semplice buon senso.

Giornalista, genovese di nascita e toscano di adozione, romano dai tempi del referendum costituzionale del 2016, fondatore e poi a lungo direttore di Gay.it, è esperto di digitale e social media. È stato anche responsabile della comunicazione digitale del Partito Democratico e di Italia Viva