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Reale o fake, quel confine sottile tra verità e propaganda: Massimiliano Panarari spiega la manipolazione populista

La sottile striscia di carta velina che separa la propaganda dalla manipolazione della realtà è sempre più labile nel nostro tempo populista e dell’informazione inflazionata e sovrabbondante. Sicché distinguere cosa è vero, per quanto forzato (propaganda), da ciò che è falso (manipolazione) è sempre più arduo, anzi, pressoché impossibile: e pazienza (fino a un certo punto!) se si tratta di un detersivo, mentre ben più grave è se si alterano i dati della realtà a fini politici, o economici, o militari. Il clamoroso garbuglio, direbbe Gadda, dato dall’impatto della propaganda sui processi reali è analizzato da uno dei migliori studiosi del problema, Massimiliano Panarari, nella ricca Introduzione al volume “Propaganda” di Denis McQuail (ed. Treccani-Voci) che è stato uno dei teorici più significativi e influenti nel campo degli studi sulle comunicazioni di massa.
La disamina di Panarari, puntuale nella sua complessità, arriva a fissare i criteri fondamentali che ha assunto oggi la propaganda/manipolazione anche sulla scorta delle riflessioni di McQuail: «La menzogna; la censura e la negazione delle informazioni oppure la sua selezione in un’ottica strategica; l’esagerazione; gli appelli affettivi e all’emozione (volti a suscitare desiderio oppure a instillare paura); il ricorso a una retorica linguistica o a una narrazione visuale che sollecitano direttamente o, comunque, privilegiano gli aspetti non razionali della comunicazione». In questo senso si può dire che tutti questi elementi «oltrepassano o stravolgono programmaticamente i criteri dell’argomentazione razionale, presentandosi come “armi emozionali”, nozione alla quale sono fondamentalmente ascrivibili anche le fake news».
Tutto questo è concime dell’era del populismo, nel quale l’individuo è letteralmente sommerso da enormi grumi informativi; il che comporta, secondo Panarari, che «le retoriche e, in particolare, il registro comunicativo del neopopulismo degli anni Duemila, con le sue ramificazioni su scala globale, hanno contribuito potentemente a una “politics of misinformation” anche mediante il ricorso alle dottrine e teorie complottistiche in senso proprio, oppure attraverso sinergie con quelle più generiche narrative cospirazioniste che si sono estese a tal punto da convertirsi in un diffuso stile cognitivo, oltre a venire giustappunto impiegate quali “armi” elettoralistiche a tutti gli effetti». Tutto questo ha trasformato la vecchia nozione di “propaganda”, facendone la leva della distruzione di un discorso che è diventato più falso che vero. Con quali rischi per la democrazia è facile da immaginare.
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