Cinque su sei i quesiti per la riforma della giustizia che sono passati e andranno al voto. Sull’eutanasia e sulla legalizzazione della coltivazione della cannabis i cittadini non potranno esprimersi. La Consulta ha già deciso: no. Nicola Graziano, giudice della sezione fallimentare del Tribunale di Napoli, commenta con il Riformista le decisioni della Corte costituzionale.

Cosa pensa di ciò che è accaduto ieri, delle decisioni della Consulta?
«La scelta della Consulta è una scelta abbastanza equilibrata. ma con riferimento ai referendum sull’eutanasia e sulla cannabis credo che sia stata una scelta limitata da alcune considerazioni troppo generali, direi politiche. Lì avrebbero dovuto essere più coraggiosi e ammettere i due quesiti».

Non è passato il quesito sulla responsabilità diretta dei magistrati, perché non possono essere trattati e giudicati come le altre categorie professionali?
«La funzione della magistratura è una funzione delicata e il problema della scelta implica inevitabilmente una posizione di contrapposizione. Non significa che i magistrati non devono rispondere dei loro errori. Sta di fatto che la risposta in via diretta degli errori dei magistrati poteva creare un’ipotesi di decisione difensiva. Credo che il magistrato debba essere libero di scegliere secondo la sua coscienza e conoscenza ed è per questo che il dolo della colpa grave chiaramente continuerà a essere motivo di responsabilità per il quale non risponderà direttamente il magistrato ma che sicuramente non lo libererà dalle sue responsabilità sia penali che disciplinari e anche, se indirettamente, responsabilità civili».

Questo significa che i magistrati continueranno a non rispondere direttamente dei loro errori? Soprattutto in Campania, a Napoli che è capitale degli errori giudiziari?
«Non si può fare di tutta un’erba un fascio. L’errore giudiziario è gravissimo e nonostante Napoli sia capitale degli errori giudiziari, credo si possa dare fiducia alla magistratura. Sappiamo anche che il Tribunale di Napoli è sovraccaricato di atti e ci sono pochi magistrati».

Cosa pensa delle parole del presidente Amato?
«Credo che trincerarsi dietro riflessioni relative al fatto che i quesiti fossero poco chiari è troppo riduttivo. A mio avviso Amato ha dato una risposta di forma e non di sostanza. Una soluzione di facciata insomma».

Sono saltati anche i referendum sull’eutanasia e sulla cannabis, c’è il rischio che la gente non vada a votare ora che mancano due argomenti di interesse e quindi non si raggiunga il quorum?
«Io non credo che la gente non vada a votare. È vero che i referendum sulla cannabis e sull’eutanasia sono importanti e più sensibili, ma credo che il tema che riguarda la magistratura e la separazione delle carriere e tutte le altre questioni referendarie che hanno superato il vaglio di ammissibilità siano molto sentite dai cittadini. Penso sia arrivato il momento di decidere, e mi riferisco al Parlamento. Spero che questa decisione avvenga prima di una pronunzia referendaria».

Perché?
«Perché ancora una volta non è possibile fare andare avanti una scelta che è soltanto abrogativa. Qui bisogna fare delle riforme. In particolare mi riferisco alla riforma dell’ordinamento giudiziario che è stata annunciata con il maxi emendamento e che va in questa direzione. Riforma che deve dare delle risposte ai cittadini».

La Cartabia aveva annunciato riforme, ma nelle carceri nulla è cambiato. Che idea si è fatto?
«La riforma delle carceri è una riforma difficile, sta nel mezzo tra un’esigenza di giustizia sociale (concetto anche esasperato) e la dignità dell’uomo e della funzione rieducativa della pena. È un punto di equilibrio difficile. Ancora una volta bisogna interrogarsi su questo: lo Stato da che parte deve stare? Io credo che debba stare dalla parte di chi è stato condannato in via definitiva ma che può essere recuperato. E un carcere così com’è concepito allo stato attuale sicuramente non riesce a portare avanti questa funzione. Per cui è necessaria una riforma ed è necessario stabilire delle misure alternative».

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Giornalista napoletana, classe 1992. Vive tra Napoli e Roma, si occupa di politica e giustizia con lo sguardo di chi crede che il garantismo sia il principio principe.