Nella materia legislativa, il nostro ordinamento contempla il referendum solo nella forma abrogativa (di una legge o di un atto avente valore di legge) e non nella forma propositiva (di nuove leggi). Il primo referendum abrogativo della storia italiana repubblicana risale al 1974 quando si cercò di abolire la legge introduttiva del divorzio tra coniugi e, in quel caso, vinse il NO: si recarono alle urne 37.646.322 cittadini, ovvero l’87,72% degli aventi diritto al voto, i quali scelsero di esercitare il loro diritto di incidere su un tema che, pur essendo stato legiferato dallo Stato, condizionava profondamente la vita di ciascuno. Il tema della giustizia, molto più di quanto si possa immaginare, ci riguarda da vicino, è nelle nostre case, incide sulle nostre vite e, in assenza di adeguati interventi legislativi, noi abbiamo il dovere di andare a votare.

I mezzi di informazione italiani, fatte poche eccezioni (tra le quali non può annoverarsi il servizio pubblico pagato dai contribuenti) hanno scelto di oscurare i referendum e, venendo meno al dovere di informare, ma anche di educare la cittadinanza attiva, hanno addirittura invitato gli italiani all’astensione, quasi come se il tema giustizia non li riguardasse. In un sistema liberal-democratico, per evitare pericolosi scollamenti tra i rappresentanti politici ed il popolo, occorre incentivare il cittadino a fornire indicazioni sulle scelte di politica giudiziaria che indirizzino o almeno stimolino il corpo politico. È per questo motivo che l’Associazione Piero Calamandrei di Napoli, unitamente ad Officina Forense e ad altre associazioni, il 9 giugno 2022 alle ore 17 ha organizzato una tavola rotonda sui 5 quesiti del referendum che si terrà fuori del tribunale, presso la Biblioteca S. Lorenzo Maggiore di Napoli, al fine di fornire a chi vorrà partecipare tutte le spiegazioni necessarie ad esprimere un voto consapevole.

Il quesito n. 1 (riportato nella scheda rossa) propone di abrogare la cd. legge Severino che prevede che un soggetto condannato, con sentenza irrevocabile, per determinati reati espressamente previsti dalla norma, divenga automaticamente ineleggibile ed incandidabile con effetto retroattivo e che gli amministratori locali, condannati in primo grado, siano costretti immediatamente a sospendere la loro attività. Le conseguenze di un siffatto sistema si sono viste in questi anni: amministratori e rappresentanti territoriali (di Regioni e Comuni) hanno dovuto lasciare immediatamente l’incarico pubblico a seguito di una condanna di primo grado che, spesso, è stata poi ribaltata in appello. E’ evidente che, se l’intento del legislatore era quello di allontanare immediatamente dalla vita pubblica il rappresentante ‘macchiotosi’ di un grave reato, il risultato è stato quello di porre nelle mani di un giudice (spesso un Giudice Monocratico, cioè solo) il potere di azzerare la volontà popolare falsando il complesso gioco politico- democratico con il rischio di rimanerne condizionato e, dunque, di un danno doppio.

Il quesito n. 2 (scheda arancione) propone di limitare l’applicazione delle misure cautelari ai soli casi più gravi di pericolo di inquinamento della prova, pericolo di fuga e pericolo che il soggetto presunto autore di reato possa commettere ulteriori reati con uso di armi o con altri mezzi violenti. Il referendum desidera impedire che la misura cautelare, che dovrebbe essere applicata per un tempo breve in attesa di giudizio, in un paese come l’Italia in cui i processi hanno una durata lunghissima, diventi un’espiazione anticipata della pena a danno di chi, sempre più spesso, è poi riconosciuto innocente. Nell’anno 2018, 3.685 persone innocenti sono stati rinchiuse in carcere ingiustamente ottenendo poi, troppo tardi, una pronuncia di assoluzione in primo grado o nei gradi successivi e, in un ordinamento come il nostro, che si professa ispirato al principio della presunzione di innocenza, questo non è ammissibile. Dobbiamo votare perché questo cambi perché tutti noi potremmo incappare nelle maglie della giustizia, pur essendo innocenti, ed essere costretti a vivere le terribili esperienze simili a quella del caso Tortora. 

I quesiti numero 3, 4 e 5 sono finalizzati a garantire una maggiore terzietà ed imparzialità del giudice, chiamato ad amministrare la giustizia in nome del popolo italiano, ed un controllo sul suo operato. Il quesito n. 3 (scheda gialla) si propone di impedire che chi abbia svolto per tanti anni la funzione di pubblico ministero (e, quindi, abbia rappresentato l’accusa) possa svolgere la funzione di magistrato giudicante perché la sua pregressa esperienza mina la sua terzietà rispetto alle parti processuali. Il quesito n. 4 (scheda grigia) chiede che l’operato del magistrato, che naturalmente incide sulla sua carriera, non sia giudicato solo dai suoi colleghi magistrati (le cd pagelle dei magistrati) ma anche dai professori e dagli avvocati (componenti laici) che siedono nel Consiglio giudiziario e che potrebbero esprimere un parere più obiettivo ed imparziale: si consideri che, attualmente, oltre il 99% dei giudizi sui magistrati sono risultati positivi.

Il quesito n. 5 (scheda verde) si propone di modificare il sistema di elezione del Consiglio Superiore della Magistratura consentendo a qualsiasi magistrato, pur non appartenente a nessuna corrente, di candidarsi. In ogni caso, a prescindere dai quesiti specifici, è importante che tutti esprimano il voto per dare un segnale di partecipazione e di volontà di cambiamento soprattutto ad una magistratura che, nonostante lo scandalo Palamara ed i numerosi inviti rivolti dal Presidente della Repubblica, sembra non voler recepire alcun tipo di riforma.