Al voto per i referendum per la Giustizia giusta manca una settimana. Una manciata di giorni appena, consumati nella distrazione da gran caldo di questo ponte di inizio estate, sotto alla catasta di notizie di grande presa su guerra, virus e carovita. Ma è clamoroso: i referendum sono spariti dal dibattito pubblico. Da quello televisivo in particolare, e – cosa ancor più grave – dall’informazione del servizio pubblico.

Tutto è stato pensato per farli naufragare. I referendum sulla legalizzazione della cannabis e sul fine vita, pur avendo fatto il pieno di firme e assicurando un importante flusso di elettori, sono stati attentamente ricacciati. E si è giocato anche sul calendario: si è spesso dato alle consultazioni popolari, per chi non riesce a votare di domenica, il lunedì. Stavolta no. Si è concentrato l’impegno ai seggi per la domenica 12 giugno, nel week end che si preannuncia il più assolato della stagione, per assicurarsi la minor affluenza possibile. La Rai se ne sta occupando al minimo della decenza (e della legge): garantisce novanta secondi di spot istituzionale, la sera.

Ricorda che è importante avere il certificato elettorale con una casella ancora vuota, altrimenti non si accede al seggio. Ma sulla materia, sulla sostanza dei cinque quesiti che puntano a riformare la giustizia, è calata la scure del silenzio. Non si ricordano talk show che ne abbiano dibattuto. Il presidente della Commissione parlamentare di Vigilanza Rai, Alberto Barachini, FI, sembra dello stesso avviso. Dice al Riformista: “Ho chiesto come ogni volta, in presenza delle consultazioni referendarie, massima copertura dei quesiti da parte del servizio pubblico anche negli approfondimenti e nei telegiornali Rai e negli orari di massima massimo ascolto. Ribadirò quest’invito perché non mi sembra che la copertura sia adeguata”.

L’iniziativa politica, a sua volta distratta dalle elezioni amministrative nei comuni dove si vota, latita. Salvini, che dei referendum è tra i promotori iniziali, se ne è poi disamorato. Ieri però ha sbottato anche lui: “È in atto una vergognosa, infame, anti democratica, campagna di censura”. Di contrastarla si fa carico invece Roberto Calderoli, che ha iniziato uno sciopero della fame: “Abbiamo fame di Giustizia!”. L’obiettivo – spiega una nota della Lega – è abbattere il muro di silenzio”.

Per Calderoli, vicepresidente del Senato, “Il nostro sciopero della fame serve per dare il giusto risalto al referendum e tutelare la democrazia perché i cittadini devono essere informati sui quesiti e messi nelle condizioni di decidere”. Insieme con lui, protesta rinunciando a mangiare anche Irene Testa, che coordina il comitato referendario: “Purtroppo ogni volta che si mette in discussione lo stato della giustizia in Italia, con iniziative che vadano appena un po’ più in là della denuncia della vergogna e dell’insostenibilità che essa rappresenta, per cercare di intervenire su un sistema che tiene stretto in pugno il Paese, ci si ritrova soli…”, si sfoga Irene Testa, che coordina . “Si continuano a perdere occasioni, ma non perdiamo la speranza. Anche questa giustizia è fatta da uomini associati in correnti che tutelano la propria insindacabilità e inviolabilità. Qualcuno diceva che tutto ciò che è fatto da uomini ha un inizio e una fine, e noi continuiamo e continueremo a gridare agli italiani di svegliarsi e aprire gli occhi”.

Indignazione anche per qualche Dem. “Il silenzio mediatico sui referendum – ci dice Giorgio Tonini – è un fatto molto grave, in quanto mina alle fondamenta un istituto democratico di rilevanza costituzionale, ritenuto dai padri della Repubblica essenziale per l’equilibrio democratico. Si tratta di un effetto collaterale della degenerazione della regola del quorum in un contesto di elevata propensione all’astensionismo: una situazione che incentiva tutti i contrari al referendum a puntare sull’astensione (e al silenzio informativo che la favorisce), anziché su una trasparente campagna di informazione e mobilitazione per il No”.

Per Umberto Ranieri “prevale una sorta di congiura del silenzio. Inaudito!”. Per Vincenzo Vita, che di problemi dell’informazione si occupa da sempre: “La legge n.28 del febbraio del 2000, la par condicio, è troppe volte violata. Sta succedendo anche sui referendum. Non bastano notizie brevi in qualche telegiornale o le tribune politiche sulla Rai. Si proponga di trattare il tema nei talk serali, che abbondano. Comunque la si pensi, conoscere è indispensabile per deliberare”. Da destra, Francesco Storace invita ad andare a votare come lui, 5 Sì: “Quelli che hanno bisogno delle toghe rosse stanno facendo di tutto per oscurare il referendum. È il popolo che deve reagire”.

La senatrice Anna Rossomando, responsabile Giustizia del Pd, prova a smorzare i toni: “Pur non essendo tra i promotori, io e diversi miei colleghi stiamo partecipando a tutti i dibattiti pubblici sui territori e sui media a cui veniamo invitati e il Pd ha dedicato una direzione ai referendum. Se dovessi ipotizzare il perché del poco interesse probabilmente penserei ai quesiti di difficile comprensione e al fatto che c’è già una riforma che interviene sui 3 dei 5 quesiti, a mio avviso in maniera decisamente migliore e preferibile, e che arriverà in aula tra dieci giorni al Senato per l’approvazione definitiva”.

Dello stesso tenore Enrico Letta, che in un comizio vicino Siena ha detto che la miglior risposta all’eventuale naufragio dei referendum starà nell’iniziativa di riforma in Parlamento. Che però, come è noto, tocca i cinque quesiti solo in parte. Anche Mario Draghi ha posto l’accento sull’urgenza di approvare la riforma Cartabia. Chissà se ci sarebbe stata la stessa urgenza senza la spinta referendaria.

Avatar photo

Ph.D. in Dottrine politiche, ha iniziato a scrivere per il Riformista nel 2003. Scrive di attualità e politica con interviste e inchieste.