Coraggio, che sono tornate le lucciole. Quel che ci vuole ora è l’ardire da parte del Parlamento a tener duro con la sua piccola riforma di giustizia che manda un segnale al Partito dei pm: le leggi sulla giustizia le facciamo noi. Punto. Anche la piccola riforma Cartabia è una lucciola nel buio della Repubblica giudiziaria. E ci vorrà poi, il prossimo 12 giugno, il coraggio dei cittadini ad andare alle urne e mettere una bella croce sul SÌ ai referendum sulla giustizia. E allora le lucciole saranno tante.
Certo, non è e non sarà facile. I bastoni tra le ruote dello Stato di diritto e della stessa democrazia sono molti, e sono in gran parte nelle mani degli uomini in toga, del loro sindacato e dei loro rappresentanti più significativi. Ma non solo.

Che dire del governo che ha fissato in una sola giornata, la domenica, le elezioni amministrative e i referendum sulla giustizia, pur sapendo che in quella data le scuole sono chiuse e per molti sono già cominciate le vacanze? Certo, bisognerebbe esser tutti militanti e appassionati e affamati di diritti civili, per dare la priorità, rispetto ad altre esigenze di tipo familiare, al diritto-dovere di voto. Sappiamo che non è così, e anche che il mondo della politica negli ultimi anni non ha certo dato di sé un’immagine tale da incoraggiare alte percentuali di cittadini a correre festanti alle urne. Possiamo aggiungere che la Corte costituzionale e in particolare il presidente Giuliano Amato, nella decisione dello scorso 15 febbraio, con un’abile operazione di chirurgia politica, hanno disincentivato la corsa al voto, decapitando i quesiti più popolari, quelli non solo di più facile comprensione, ma anche maggiormente oggetto di discussione. Ci si sarebbe divisi tra i e i NO sull’eutanasia e sulla legalizzazione della cannabis, e persino sulla responsabilità civile dei magistrati che sbagliano, ma ci si sarebbe accaniti dentro alle urne, non fuori, magari su una spiaggia.

Aveva promesso che non avrebbe cercato il pelo nell’uovo nella sua decisione, il presidente Amato. È stato così, infatti l’uovo lo ha buttato via tutto intero. Parliamo dell’omaggio alla Chiesa e al mondo del proibizionismo. Ma soprattutto della responsabilità dei magistrati, esclusa con una motivazione di lana caprina, senza che si sia tenuto conto di quei numeri di ingiustizia da brivido. Soltanto per l’ingiusta detenzione, ogni anno lo Stato risarcisce mille persone con 27 milioni di euro. E, se consideriamo la tirchieria e la pretestuosità con cui tanti che avevano subito ingiustamente la tortura della custodia cautelare in carcere sono stati esclusi dal risarcimento (magari perché nel primo interrogatorio non avevano risposto al giudice), possiamo tranquillamente raddoppiare il numero delle ingiustizie. Ma ancora una volta quelli che indossano la toga dalla parte “giusta”, quelli che troppo spesso hanno l’unico merito di aver vinto un concorso, saranno quelli che non pagano mai per i propri errori. Ammesso che siano sempre e solo errori. Eppure sono gli stessi che si lamentano in continuazione. Non saranno chiamati a rispondere dei propri atti in sede di voto referendario, ma non tollerano neppure di essere giudicati per il loro lavoro.

Così il famoso fascicolo del magistrato previsto dalla riforma Cartabia, quello che darà trasparenza all’attività quotidiana di ogni giudice e pubblico ministero, è visto dalle toghe (e anche da prestigiosi ex procuratori come Giancarlo Caselli) come un insulto, un affronto alla loro dignità. O addirittura una schedatura di polizia, un assalto della Gestapo. Un’offesa è considerato poi anche il solo nominare la possibilità di separare le carriere tra chi accusa e chi giudica. Come se nella gran parte dei Paesi liberali dell’Occidente non fosse già così. Ma neppure la timidissima distinzione tra le funzioni, pur all’interno dello stesso percorso di carriera, va bene. Né quello previsto dalla piccola riforma Cartabia, in discussione in queste ore alla Camera, che consente un solo salto della quaglia nel corso della carriera, né men che meno l’oggetto del referendum, che impone una scelta definitiva di ruolo.

Il presidente dell’Anm Giuseppe Santalucia, che vuole portare le toghe a scioperare (e magari, perché no, a marciare su Montecitorio in segno di protesta) contro questa minaccia, è arrivato a dire che il giudice più garantista è quello che prima ha fatto il pm. Forse perché è saturo di ingiustizie e nefandezze, dopo averne viste, e magari fatte, così tante. Non manca certo il coraggio, e anche un ben po’ di faccia tosta, dopo lo scandalo del “Sistema”, alle toghe militanti. Anche per questo, adesso il coraggio tocca a noi. A noi che in certi articoli della Costituzione, come quello sul giusto processo, crediamo davvero. E anche nella politica dei piccoli passi, a patto però che abbia dentro di sé le qualità per diventare poi una vera svolta, una rivoluzione. Sarà vero che sono tornate le lucciole?

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Politica e giornalista italiana è stata deputato della Repubblica Italiana nella XI, XII e XIII legislatura.