Politica e giustizia non fanno pace. Ieri sera la Procura di Genova si è affrettata a respingere l’istanza di opposizione all’archiviazione avanzata da Matteo Renzi nei confronti della sua denuncia contro i magistrati fiorentini che indagavano nell’inchiesta sulla fondazione Open. «Lette le motivazioni dell’ordinanza, giuridicamente molto deboli e contraddittorie, ripresenteremo la questione a Genova dopo che la Corte costituzionale si sarà pronunciata sul conflitto di attribuzione», ribatte Matteo Renzi. «E chiederemo conto dell’invio illegittimo al Copasir di atti che la Corte di Cassazione aveva ordinato di distruggere e che i magistrati fiorentini hanno inviato dopo la sentenza della Cassazione».

Mancano intanto dieci giorni al voto dei referendum più silenziati di sempre. Escluso dai talk show e dal dibattito sui giornali, ieri il referendum ha finalmente mosso a pietà l’AgCom, che ha richiamato «Rai e tutti i fornitori di servizi di media audiovisivi e radiofonici operanti in ambito nazionale, affinché garantiscano un’adeguata copertura informativa sui referendum per offrire ai cittadini un’informazione corretta, imparziale e completa sui quesiti referendari». Era ora. Anche perché tra le forze politiche il patto del silenzio rimane di ferro. Enrico Letta ha schierato il Pd sul no, pur lasciando libertà di coscienza. «Io proporrò un orientamento di fondo, il Pd non è una caserma, c’è la libertà dei singoli che resta in una materia come questa», ha detto Letta nei giorni scorsi in una direzione del Pd.

Ma dove va il suo cuore si è capito: «Io penso che una vittoria dei sì aprirebbe più problemi di quanti ne risolverebbe. Gli interventi sono da fare in Parlamento». Un ritornello noto: gli interventi sono da fare in Parlamento, ma i parlamentari non li fanno. Quindi il ricorso alle urne viene disinnescato – causa timori di debole affluenza – dalla non campagna elettorale del maggior partito di centrosinistra, che così tiene fede al patto con il M5s. «La battaglia per una giustizia giusta è la battaglia delle battaglie», ha detto Emma Bonino, leader di +Europa. «Letta ha indicato il no, che di fatto è un invito all’astensione, il modo più efficace per far fallire i referendum. Questo nonostante molti dirigenti e semplici iscritti voteranno sì. Ha fatto prevalere le ragioni dell’alleanza con il M5s, contrario a questi referendum perché mette alle spalle la stagione giustizialista di Bonafede».

E poi c’è Salvini, ha aggiunto Bonino: «Ha visto che la battaglia era in salita e si è defilato». Ma nel centrosinistra sono tanti ad invitare a votare Sì a più quesiti, e comunque a sottolineare l’urgenza delle questioni poste. «Credo che in ogni caso si debbano fare i Referendum, non sarà una tappa risolutiva ovviamente perché sappiamo che sono Referendum abrogativi, ma credo che ci siano gravissimi ritardi e gravissime responsabilità da parte di tutte le forze politiche», segnala il governatore campano Vincenzo De Luca – del Pd – che attacca: «La riforma della giustizia andava fatta anni prima, continuiamo a registrare ritardi enormi, perfino su cose banali come la riforma dell’abuso in atto d’ufficio, cioè una parte della legge Severino, continuiamo a balbettare. Non è possibile, occorre una svolta radicale».

Parla di referendum anche il leader Cinque Stelle, Giuseppe Conte: «Noi non riteniamo che i problemi della giustizia possano trovare soluzione attraverso delle singole votazioni che riguardano specifici aspetti», dice l’ex premier Conte. «Non possiamo accettare che singole forze politiche possano introdurre dei referendum che sono quasi come una vendetta della politica contro la magistratura». Gli risponde la Lega: «Quando i cittadini sono chiamati a votare, ad esprimere democraticamente le loro opinioni, ad incidere su aspetti fondamentali della vita della comunità, nessuno può sentirsi minacciato. Bene il richiamo dell’Agcom», scandiscono dal Carroccio. Malgrado il silenzio, i si stanno moltiplicando. Anticipa che voterà cinque Sì Guido Crosetto. Giuliano Pisapia voterà Sì a 4 quesiti (separazione carriere, avvocati e professori per valutazione magistrati, obbligo raccolta firme per Csm, Severino) e invece si asterrà senza indicare né si né no rispetto all’abrogazione della possibilità di misura cautelare in caso di rischio di reiterazione del reato.

L’ex leader Cisl Marco Bentivogli, coordinatore di Base Italia, 5 Sì. Voterà tutti Sì l’ex ministro della Funzione pubblica e giurista di fama, Angelo Piazza. Luciano Violante voterà Sì per l’abolizione della Severino. Tutti Sì per Forza Italia e per Italia Viva (fa eccezione Librandi: 4 Sì e un no, sulla Severino). I socialisti tutti, da Claudio Martelli a Claudio Signorile, da Riccardo Nencini a Enzo Maraio voteranno 5 Sì. Beppe Cruciani dai microfoni della Zanzara, Radio24, voterà tutti Sì. E perfino nel fronte del Movimento e degli ex Cinque Stelle si invita a votare. Saverio De Bonis, che pure votò le riforme di Bonafede, oggi si schiera diversamente: «Un referendum non è di per sé una riforma, ma il segnale deve essere chiaro: lo spirito costituzionale del Paese non può essere giustizialista».

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Ph.D. in Dottrine politiche, ha iniziato a scrivere per il Riformista nel 2003. Scrive di attualità e politica con interviste e inchieste.