Provate a rispondere a questa mia domanda: quante volte avete sentito parlare nei telegiornali Rai, o nei talk show, negli approfondimenti, nei faccia a faccia, o in qualunque altra trasmissione, dei referendum sulla giustizia? Molti di voi risponderanno: mai. Mancano una ventina di giorni al voto. Le urne saranno aperte e chiuse il 12 giugno, perché così ha stabilito la politica: un giorno solo e non uno e mezzo, perché i tecnici hanno detto che così è più improbabile che si raggiunga il quorum. Tutti i grandi referendum si sono tenuti la domenica e il lunedì mattina ma stavolta no.

Perché? Perché c’è un potere che vuole che questi referendum falliscano e questo potere è l’unico potere incontrollato e capace di sottomettere tutti gli altri poteri: il potere giudiziario. Ammaccato dagli scandali, dalle Logge Ungherie, dalle sentenze aggiustate, dalle inchieste pilotate, dalle rivelazioni di Palamara, dalle denunce degli avvocati e di qualche piccolo giornale. E però ammaccato ammaccatissimo, ancora potentissimo e in grado di dettare tempi e modi della vita pubblica.

Il potere giudiziario ha ordinato alla politica di sconfiggere i referendum sulla giustizia, perché essi, seppure senza soluzioni rivoluzionarie, rischiano di mettere in moto un processo di vere riforme che riporterebbero il potere giudiziario nel suo ambito naturale e legittimo, porrebbero fine alle sopraffazioni, restituirebbero all’Italia lo stato di diritto. E ridarebbero anche diritto di cittadinanza e di espressione a circa la metà della magistratura, che dissente dai vertici, dalle cordate e dalle cupole (come le ha definite un magistrato del calibro di Di Matteo) e lo ha dimostrando boicottando lo sciopero indetto dall’Anm lunedì scorso.

La politica si è affrettata a dare seguito all’ordine ricevuto e ha iniziato l’azione di sabotaggio del referendum. Impedendo ai partiti di fare campagna elettorale e informazione. Condizionando e spingendo al silenzio i giornali amici (cioè tutti i grandi giornali, che si sono affiancati ai giornali delle Procure già schierati a testuggine) e infine calando la scure sulla Rai e imponendo il diktat. Silenzio – l’ordine è questo: silenzio assoluto.

I referendum non esistono, nessuno deve sapere che esistono, è vietato discuterne. La Rai, giustamente ha eseguito. Che vuol dire servizio pubblico? Vuol dire rispettare gli ordini dei poteri superiori, del resto è sempre stato così. La Rai raramente è stato un covo di disobbedienti. Ci sono i vertici, ben solidi, c’è l’Usigrai, militarmente schierata, e chi non è d’accordo la paga cara. Qualcuno si ribellerà a questo pantano di regime? Può darsi. Ma forse non gli conviene. Se lo fa, probabilmente, si becca un avviso di garanzia.

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Giornalista professionista dal 1979, ha lavorato per quasi 30 anni all'Unità di cui è stato vicedirettore e poi condirettore. Direttore di Liberazione dal 2004 al 2009, poi di Calabria Ora dal 2010 al 2013, nel 2016 passa a Il Dubbio per poi approdare alla direzione de Il Riformista tornato in edicola il 29 ottobre 2019.