Nel pieno del dramma pandemico e di fronte alla nuova ondata che avanza c’è qualche buona notizia. Il metodo sta finalmente cambiando. Nei tempi, come il presidente del Consiglio si era impegnato a fare per proteggere gli italiani dagli annunci shock dell’ultimo minuto, ma anche nel metodo. Le nuove misure sono state il frutto di un procedimento in cui, tra gli altri, sono state, ancora una volta, pienamente coinvolte le Regioni e il Consiglio dei ministri. Con l’esito di un Decreto-legge che restituisce al Parlamento la funzione di controllo di scelte certamente difficili e talvolta divisive. E per una volta ci fa dimenticare i famigerati Dpcm.

Sullo sfondo di queste iniziative c’è anche un’altra notizia che può offrire uno spunto per ripensare le strategie future. Con un, ormai noto, Decreto monocratico, il Consiglio di Stato nella persona del Presidente della Terza sezione, Franco Frattini, ha dato sostanzialmente il via libera, seppure in sede cautelare, alla decisione del presidente della Regione Sardegna di limitare l’accesso alla Regione (attualmente l’unica bianca) solo a coloro che si siano sottoposti a tampone o abbiano ricevuto il vaccino anticovid. La decisione potrebbe far aprire un dibattito, e in parte lo ha già fatto, sull’opportunità di simili soluzioni. All’apparenza si tratta di una decisione molto restrittiva, perché condiziona la circolazione da e verso la Sardegna. A ben guardare però le cose non stanno esattamente così. Perché il concetto di restrizione è un concetto relativo. Dipende da ciò con cui lo si compara. Ed è a tutti noto che vige in questo momento (e ormai da mesi) in tutta Italia un divieto generalizzato di circolazione tra regioni e che in alcune zone esistono ancora più incisivi divieti di circolazione che possono giungere fino all’obbligo di permanere nel comune. Per non parlare delle misure di lockdown in casa in cui la circolazione non è permessa affatto.

Tali misure sono derogabili solo per le note ragioni di necessità, lavoro e salute. Punto. Il modello sardo ci offre argomenti per riflettere. Perché cambia il tipo di approccio e passa dai divieti generalizzati ai divieti razionalizzati. Applicando quel principio di adeguatezza e proporzionalità tanto strombazzato quanto troppo spesso travolto in questi mesi. Le misure sarde rispondo a una logica diversa. Il divieto ha senso se è proporzionato al rischio. E chi è vaccinato o ha la fortuna di aver ricevuto un esito negativo nel sottoporsi a tampone minimizza drasticamente quel rischio. A questo punto allora la domanda non dovrebbe essere se sia giusto richiedere il tampone o il vaccino per entrare in Sardegna.

La domanda dovrebbe essere: per quale motivo chi versa in una di queste condizioni (tampone negativo o vaccino) dovrebbe essere impedito nel circolare tra regioni, comuni o uscire persino di casa se non per i motivi eccezionali che conosciamo? Chi ha un tampone negativo o è vaccinato perché non dovrebbe poter andare al ristorante o al bar, perché non dovrebbe poter esercitare attività sportiva anche non in prossimità dell’abitazione? Perché non dovrebbe poter andare in palestra o a una riunione religiosa o culturale? Queste sono le domande che la vicenda sarda pone a tutti noi e ai decisori politici. Si può certo discutere se un’ordinanza sia lo strumento adeguato, e chi scrive ha sempre sostenuto che la base di simili misure dovrebbe essere legislativa (a cominciare da una normativa emanata con decreto-legge).

E si può anche discutere, per quanto riguarda i vaccini, quali siano le condizioni perché, pur in assenza di obbligo vaccinale, si possano porre condizioni che differenziano tra chi lo ha fatto e chi no. Ma da questo punto di vista la giurisprudenza costituzionale dovrebbe rassicurarci (si veda la sent. 5/2018). Se ci sono le condizioni indicate dalla Consulta per imporre il vaccino, cosa impedisce al legislatore nella sua discrezionalità e facendo applicazione del principio di proporzionalità, di adottare una misura meno drastica (perché non obbliga alla vaccinazione) quale quella di imporre l’onere di sottoporsi al trattamento del tampone o, là dove possibile, del vaccino, per poter svolgere talune attività che oggi sono genericamente e universalmente vietate?

Forse ragionare in termini pragmatici, e sempre nel rispetto della Costituzione, potrebbe rappresentare l’esempio di una capacità di creatività politica, che tutela il diritto alla salute, ma restituisce un po’ della altre libertà ormai da più di un anno fortemente sacrificate. E magari far ripartire anche l’economia. Se il benessere e la salute non sono solo concetti biologici, tentativi di ritornare a una normalità controllata e con le precauzioni sufficienti, piuttosto che essere genericamente stigmatizzati, andrebbero valutati con equilibrio. Perché anche andare a trovare un amico o un parente in un’altra regione, solo per il piacere di incontrarlo, nei limiti delle cautele predette, dà senso alla vita. E dopo tredici mesi in cui siamo stati spenti, un po’ di senso del vivere potrebbe anche aiutarci a ripartire, magari con un po’ di slancio.