“Il 30 luglio è stata una delle notti più difficili della mia vita. La mia mente è scivolata in un luogo oscuro. Avevo intuito che stavo andando in quella direzione, ma non pensavo di perdere il controllo della situazione. Il giorno successivo, ho deciso di interrompere la mia carriera professionale. Un giorno, quando sarà il momento giusto, mi piacerebbe condividere la mia esperienza completa con tutti voi per poter aiutare coloro che stanno attraversando situazioni simili. Fino ad allora, preferisco mantenere la situazione privata per rispetto della mia famiglia e di me stesso, dato che sto ancora lavorando sulla mia salute mentale. Ma sono fiero di dire che sto molto meglio e miglioro ogni giorno.
Volevo condividere questo messaggio oggi perché la mia carriera nella NBA è giunta al termine … So che la fine è stata difficile. Non avrei mai immaginato che l’anno si sarebbe sviluppato in questo modo, ma avete un’organizzazione straordinaria, con Koby e JB, che sono stati estremamente rispettosi e comprensivi della mia situazione e si sono presi cura di me come persona. Grazie a tutti per l’amore e il sostegno!”

La storia di Ricky Rubio, l’addio al basket per prendersi cura di lui “come persona”

A scrivere è Ricky Rubio, l’asso del basket spagnolo, che a soli 14 anni esordiva nella prestigiosa ACB con la maglia della Joventut Badalona per approdare poi in USA all’età di 20 anni. A 33 anni, con questo messaggio, il 4 gennaio 2024 ha salutato i Cleveland Cavaliers e l’NBA. Ma Rubio non ha perso. Rubio ha vinto. Il senso del suo messaggio è tutto in quel prendersi cura di lui “come persona”.
Messaggio doloroso, certamente, ma tutt’altro che triste. Concreto, dirompente e, soprattutto, coraggioso come solo un eroe può fare. Ma non l’eroe delle imprese impossibili, quello cinematografico che salva il mondo da aliene catastrofi. Il solo vero eroe, quello della quotidianità con le sue sfide, anche pesanti, da abbracciare, da non fuggire. L’eroe che inizia a respirare per sé, senza la roboante acclamazione dagli spalti ma protetto dalla calda e amorevole quiete tutelante degli affetti intimi, per resistere, per ri-esistere. L’eroe che si perde per ritrovarsi, abbracciando con coraggio e desiderio l’ignoto. Rubio compie il proprio destino ripartendo dalla persona. Lascia il passato nel passato, si concentra sul presente, apprende dalla esperienza e abbozza, da subito, futuri scenari possibili di aiuto agli altri, in un ambito inimmaginabile prima.

Rubio, la carriera precoce, gli errori saltati e la ri-nascita

Transita dal “sono un campione!” al “che campione sono?”. Da atleta, accetta il gioco nuovo, quello della vita in cui i canestri non sono per la squadra ma per se stesso, e ci si dedica seriamente, con tutte le sue forze. E così si avvia, finalmente, a definire la sua identità, nel momento in cui la nostalgia non è più rivolta al passato ma avida di quel futuro che non ancora è. Un campione inevitabilmente è destinato a divenire una gloria del passato, un uomo rimane fino all’ultimo. E per farlo deve nascere, e per nascere deve abbandonare l’abitudine e accogliere l’inquietudine, derivante da quello che ancora si deve realizzare, definire e differenziare per ciò che è e che pienamente può essere. Se a 14 anni sei un campione di basket e giochi con i “grandi”, cosa ne è stato del ragazzo, dei suoi movimenti esplorativi di crescita armonica che, per essere tale, richiede gli errori e i giochi dei “piccoli”? Siamo certi che la depressione di Rubio sia solo una malattia e non sia, invece, anche un potente richiamo a prendersi la propria vita integralmente, un ritornare per sentire di appartenere e appartenersi, come Ulisse verso Itaca? La rottura del cartonato immobile del campione che si squarcia per liberare la persona vera e vulnerabile, come solo noi esseri umani sappiamo essere? Siamo così sicuri che quello di Rubio sia una fine e non, al contrario, una ri-nascita?

Anche questo, in fin dei conti, é salute mentale: sapere distribuire bene le energie, riducendo quelle spese a inseguire un Io ideale posticcio a vantaggio di quelle usate per realizzare quanto è ideale per l’Io. Rubio, il campione, ha scelto Ricky Rubio, se stesso, la persona. E, da vero fuoriclasse fantasista, ha realizzato forse una tra le sue migliori giocate.
I tifosi avranno sempre nuove stelle da acclamare felici e chiassosi sul parquet, ma l’occasione di vivere la vita pienamente in tutte le sue pieghe più veraci, belle e brutte che siano, è data una volta sola. Lo ha capito, e senza esitazioni ha iniziato a mettere a segno canestri nella sua vita, non più dentro un’arena. Ed è “fiero” di dire che sta molto meglio e che migliora ogni giorno.

Grazie Rubio per averci ricordato che la depressione esiste, che è un brutto avversario, ma che si può vincere. Grazie per avere testimoniato con straordinaria forza che la strada per batterla è giocare con coraggiosa determinazione, affidandosi alle cure e agli esperti, certo (“avevo intuito che stavo andando in quella direzione, ma non pensavo di perdere il controllo della situazione”), ma non riducendo tutto e soltanto a semplice squilibrio di neurotrasmettitori. Affrontando e vivendo le sfide nella loro interezza come persone, col sostegno di una comunità comprensiva e inclusiva, lavorando sulla salute mentale, anche il mare abissale della depressione può divenire vivo e mutevole. Un mare da attraversare, affrontando fantasmi e paure. Un mare che ci conduce a nuovi approdi. Non esistono bravi marinai che non si siano formati affrontando le tempeste! Buona vita Rubio, buona ri-esistenza.