“Quando c’è l’amore c’è tutto”. “No, ti sbagli, chella è ’a salute”. In “Ricomincio da tre” la massima di Gaetano liquida, in un attimo, il dualismo tra soldi e felicità ed è l’inizio di una trama. E sì, perché le storie, quelle strane cose che ci fanno ridere o piangere, fin da quando, prima della scrittura, qualcuno le raccontava intorno ad un fuoco, hanno bisogno di un terzo per andare avanti: Ettore, Achille ed Elena, Jean Valjean, Javert e Cosette, Robin, lo sceriffo di Nottingham e lady Marian, Renzo, don Rodrigo e Lucia. Gli americani, abituati a incasellare tutto, lo codificano, insieme ad altro, nei loro manuali di scrittura: the hero, the villain, the blonde. Noi che siamo un popolo abbastanza più antico della serialità la formula la conosciamo da tempo: iss’, ess’ e o’ malamente. Non è la sceneggiata: è il teatro da Shakespeare a “Lacrime Napulitane”.

Il terzo è necessario per raccontare il conflitto e la donna per definire la posta in palio. È semplice. Ed è difficile, molto difficile. Sui tre angoli delle storie si possono infatti addensare, ed è sempre più necessario farlo, più soggetti narrativi: gli eroi possono essere un gruppo, i malamenti una società (meglio se multinazionale perché sono più perfide), una setta o un’intera nazione, e, per la posta in palio si può andare da una bionda al controllo del mondo (se le due cose stanno insieme non guasta). L’importante e che ci sia la triade per intero e l’originalità è nella combinazione, non negli elementi. Le trame infatti sono sempre le stesse, qualcuno sostiene che sono dieci e qualche altro le riduce a sette, ma non sta lì l’essenza della narrazione, ma nella regola del tre. Quella vale sempre. Soprattutto nelle nuove serie televisive, dal “Problema dei tre corpi” fino a “Mare Fuori” dove la triade si nasconde sempre di più e si maschera in triangoli più piccoli che compongono quello grande.

Vale anche in quei programmi televisivi che sembrano non entrarci nulla. Pensate di stare distrattamente guardando “Affari tuoi”, ma, in realtà, state ripassando l’epica: Eracle, le sue fatiche e la conquista dell’Olimpo non sono differente da un concorrente di Cavriago che supera le varie prove eliminando gli avversari per raggiungere il tavolo della ghigliottina. Quest’ultima non si differenza molto dallo scontro del Principe Filippo con il drago: o vinci o muori. Ovviamente se vinci porti a casa il tuo premio. Applausi. Il terzo è dunque essenziale nell’immaginario e, sempre in questo mondo, ha la capacità liquida di adattarsi all’animo degli esseri umani. Può essere usato, ad esempio, per rassicurare. Lo sa benissimo la chiesa cattolica, non quel profeta infuriato che era venuto nel mondo a portare la spada. I teologi lo usarono alla fine del dodicesimo secolo per inventare la terzietà per eccellenza: il Purgatorio. Lì vanno i mediocres, i nuovi cittadini che non sono così poveri per meritarsi il Paradiso, né così ricchi per essere precipitati all’inferno. Lì vanno i borghesi. Lì andremo tutti noi. Forse.

Il terzo può entrare nella Storia, nella nostra vita non sognata? Capisco poco il mondo e, confesso, alla mia età non mi interessa molto, ma ho il sospetto che lì dentro valga, invece, il principio duale: Guelfi e Ghibellini, Churchill e Hitler, palestinesi e israeliani. Tutti quelli che hanno provato ad introdurlo hanno fatto una brutta fine. Possiamo provarci, ma non ci scommetterei i miei soldi.

Roberto Pinto

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