Con la legge “spazzacorrotti” il governo precedente ha introdotto la norma che prevede, dal 1 gennaio 2020, che dal grado d’appello sia bloccato l’istituto della prescrizione, che quindi resterebbe in vigore solo per il primo grado di giudizio. La prescrizione è certamente uno strumento imperfetto, che ha consentito non arrivassero a sentenza alcuni processi, ma è anche lo strumento con cui fino ad ora si è cercato di dare concretezza al principio costituzionale che garantisce ai cittadini una durata ragionevole del processo.

L’art. 111 della Costituzione prescrive che la decisione definitiva intervenga in tempi, appunto, ragionevoli, cioè determinati, per non abbandonare la vicenda giudiziaria e l’iter processuale ad una sorta di sine die. Ciò a tutela sia dell’imputato sia della vittima del reato. L’imputato ha il diritto a non essere soggetto a un procedimento di durata indefinita e di essere giudicato entro un lasso congruo di tempo. La vittima ha diritto di ricevere una adeguata tutela da parte dell’ordinamento. Se non c’è questa garanzia si profila il rischio dell’ingiustizia. Con la necessità di riformare l’istituto della prescrizione, che funziona oggettivamente male, ci siamo misurati tutti. Recentemente, nella scorsa legislatura, lo ha fatto lo stesso ex ministro Andrea Orlando. Ma lo scenario che abbiamo di fronte, quello prospettato dall’attuale ministro Bonafede, è ben diverso da quello di una riforma: si blocca la prescrizione senza essere intervenuti in alcun modo per riformare il processo penale al fine di garantire tempi certi e rapidi. Il tema di oggi è questo. Non si tratta di difendere la prescrizione, perché ogni processo che non si conclude costituisce un fallimento per lo Stato, ma si tratta di creare le condizioni perché ci siano tempi certi a garanzia e tutela di tutti.

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D’altra parte questa è la ragione che aveva portato lo scorso governo a rimandare al 1 gennaio 2020 la sospensione della prescrizione dopo il primo grado, con l’impegno a riformare il processo penale. Così non è stato e il rischio è che entri in vigore la norma senza che ci sia nulla a garantire il diritto alla ragionevole durata del processo. Da qui dobbiamo partire per dare ordine alla discussione di questi giorni: il tema non è difendere la prescrizione ma garantire tempi certi e giusti per i processi. Questo significa intervenire sul funzionamento dei tribunali, sugli organici, su un uso intelligente e ragionevole degli strumenti telematici, sui tempi certi delle indagini. Su questo siamo tutti d’accordo, ma non basta. Serve definire i tempi delle diverse fasi del processo e decidere cosa succede se non vengono rispettati. È soprattutto su questo che le posizioni del ministro Bonafede non ci convincono. Non è sufficiente, anche se utile e necessario, pensare a indennizzi per chi subisce processi troppo lunghi. E anche l’idea, pure condivisa, di creare una corsia preferenziale per chi è assolto in primo grado non risolve il problema. Per noi il tema non può essere quello di punire i magistrati responsabili di processi troppo lunghi, cosa su cui pure si deve ragionare, ma garantire il diritto dei cittadini a processi in tempi ragionevoli. Non dobbiamo pensare che tutto possa esaurirsi qui: bene riconoscere la responsabilità di chi deve garantire i tempi nelle diverse fasi del processo, ma questo non risolve la questione, perché mette comunque in conto che un cittadino possa anche subire un processo infinito o debba aspettare sine die una sentenza se è parte offesa.

Qui sta il punto: per noi la riforma del processo deve prevedere tutto ciò che il ministro propone per velocizzare i processi, ma è necessario ci sia una norma che estingua il processo dopo tempi congrui. Si può ragionare sui tempi e sulle fasi del processo per non rischiare di perpetuare i difetti dell’attuale prescrizione, tenendo conto che, se le misure previste dalla riforma per accelerare i procedimenti funzioneranno, non si arriverà mai all’estinzione. La questione fondamentale è garantire ai cittadini un processo giusto e in tempi certi. Quello del blocco della prescrizione dall’appello rischia di essere un provvedimento puramente ideologico che, tra l’altro, si scontra con una realtà che racconta che la stragrande parte dei reati prescritti lo sono in primo grado. Se entrasse in vigore la legge Bonafede che interrompe la prescrizione senza una riforma del processo penale coerente con questi principi ci troveremmo di fronte ad un vulnus davvero preoccupante: sia sul piano delle garanzie che su quello della Costituzione e del diritto. Per questo ci stiamo confrontando col ministro e nella maggioranza per presentare una riforma del processo penale che rispetti i principi che ho provato a descrivere e finalmente dia efficacia ed efficienza al nostro sistema giudiziario. Allo stesso tempo, proprio per le ragioni dette, pensiamo che non possa essere interrotta, in assenza della riforma, alla data del 1 gennaio 2020, la prescrizione. La strada maestra, quella più pulita, per noi è far entrare in vigore contemporaneamente le due norme e, comunque, deve essere chiaro che per il Pd questa è questione dirimente: lavoreremo perché, senza un accordo sulla riforma del processo penale, l’abolizione della prescrizione venga sospesa.

Franco Mirabelli

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