L’Italia farà sentire la propria voce sulla riforma del Patto di Stabilità, ha detto Mario Draghi nella conferenza stampa di fine anno, con l’obiettivo di arrivare al consenso sulle nuove regole prima della fine del 2022, quando scadrà la sospensione del Patto. Draghi ha ribadito la propria critica nei confronti di queste norme ritenute dannose, innanzitutto perché è mutato il quadro europeo su cui poggiavano e la contestazione è propria anche di molti altri Paesi.

In una conferenza nella quale non sono mancate aperture prontamente seguite da chiusure sul punctum dolens della permanenza a Palazzo Chigi o dell’idea dell’ascesa al Colle, Draghi, autodefinitosi un “nonno” al servizio delle istituzioni, ma senza aver fugato l’ipotesi dell’ascesa (anzi!), non ha chiarito i termini – nemmeno in generale – della sua posizione sul Patto, mentre in precedenza aveva segnalato che nel prossimo anno il rapporto debito-Pil comincerà a scendere (ma siamo sul 150 per cento). Poi, con evidente sottolineatura, ha precisato che la cura migliore per il debito è la crescita. A maggior ragione se il Governo potrà andare avanti a prescindere da chi sarà il Premier, come Draghi ha tenuto a chiarire, è importante far conoscere, almeno nelle linee generali, la posizione dell’Esecutivo sul Patto in questione e sugli Accordi collegati e successivi, nonché sulla normativa sugli aiuti di Stato, del pari in parte sospesa.

Non è un tema di poco conto, perché vi è chi vorrebbe una riforma del Patto, altri pensano a una revisione degli accordi intergovernativi “Two Pack”, “Six Pack” e “Fiscal compact”, altri, ancora, ritengono che si debba incidere soltanto su modalità specifiche degli accordi (per esempio, il parametro del rapporto debito-Pil al 100 per cento, anziché, come ora vigente, al 60), altri ancora vogliono solo introdurre, all’occorrenza, ulteriori meccanismi di flessibilità. In particolare, nell’incontro romano con Draghi, il neo-Cancelliere tedesco Olaf Scholz, a proposito del Patto, sul quale Draghi, in conferenza stampa dopo l’incontro, con studiata falsa modestia, aveva detto di non essere competente, ha confermato che già esiste una flessibilità nelle applicazioni e che essa è stata fruttuosamente utilizzata nel corso della pandemia. Dunque, bisogna dedurne che, almeno per ora, null’altro sia necessario e che, come dice Scholz, bisogna reintrodurre i parametri del 3 per cento, per il deficit-Pil, e del 60 per cento, sopra ricordato, per il debito, passando sopra al fatto che sono parametri che nessun Paese rispetta o riesce a rispettare proprio perché rispondenti a un altro contesto economico-finanziario e alla deleteria politica dell’austerity.

Draghi ha detto che certamente l’Italia non pensa a un “triumvirato” Italia-Francia-Germania. Ma la posizione di quest’ultima sul Patto – come quella altrettanto negativa sulla ripetizione della formula del Next Generation Eu – non rappresenta affatto uno scoglio facile da superare. Allora, occorre chiarezza nelle posizioni, a partire dalla questione preliminare se si vuole incidere sul Patto e/o sugli altri Accordi oppure soltanto sulle applicazioni. Insomma, è semplice affermare che occorre riformare, ma è il “come” che va chiarito, insieme con la capacità da esprimere per una forte azione nel campo europeo al fine di conseguire le necessarie convergenze, ovviamente accettando pure le mediazioni che fossero necessarie.

I negoziati anche a livello europeo hanno bisogno, certamente, di riservatezza, ma è dovere di chi governa la parresia nei confronti dei cittadini. Soprattutto se si pensa agli impegni che sopravverranno, a cominciare dalla prosecuzione, su basi anche nuove, dell’azione di contrasto della pandemia e che imporranno probabilmente che la legislatura prosegua fino alla sua naturale conclusione – come ha detto lo stesso Premier – regole europee assurdamente restrittive e diffusamente contestate avrebbero un effetto paralizzante anche della stessa promozione della crescita che non possiamo permetterci. Dunque, è necessario agire subito per far sì che si tenga a mente e lo si applichi il principio latino principiis obsta, e, dunque, per evitare che la medicina sia tardiva, sero medicina paratur.