Indebolita verso est con l’uscita di scena di Angela Merkel e con la Germania che deve ancora rodare con il nuovo cancelliere, l’Europa deve rafforzarsi verso ovest per arginare i venti del nazionalismo che vengono, appunto, da est. Per elaborare strategie comuni rispetto al nodo delle immigrazioni, via terra e via mare. E rispetto ad altri dossier economici – dalle materie prime alle fonti energetiche passando per l’autonomia nella ricerca medica – che ci hanno messo a nudo durante la pandemia. Per non perdere terreno e mostrarsi compatta e autonoma nello scontro geopolitico tra Washington e Pechino che ha sempre Mosca dalla sua.

È una partita chiave e molto più grande di quello che si può leggere nelle circa 30 pagine del Trattato del Quirinale che fissa i parametri di un accordo rafforzato tra Italia e Francia. E lo è soprattutto per il futuro dell’Europa. L’ottica di questo accordo, ha ricordato il presidente Mattarella nel colloquio con Emmanuel Macron giovedì sera al Quirinale, è «costruire un’Unione europea più forte, una necessità che anche la crisi pandemica ha messo in luce». È una premessa necessaria e che va ribadita per comprendere l’importanza strategica dell’accordo che aveva iniziato a muovere i primi passi nel 2017 (Gentiloni premier) e il cui iter si è poi raffreddato, quasi fermato. Possiamo dire che la colpa va cercata in entrambe le metà campo: prima il fallimento dell’acquisizione da parte di Fincantieri dei Chantiers de l’Atlantique; Parigi che scaricava migranti alla frontiera di Bardonecchia convinta che l’Italia li facesse passare senza fermarli; le rivalità in Libia per il controllo delle fonti energetiche; fino all’incontro – era il 2019 -tra l’allora ministro e vicepremier Luigi Di Maio e i Gilet gialli. Quella volta Parigi richiamò in patria l’ambasciatore. È stato uno dei momenti più difficili nei rapporti tra Francia e Italia.

Ogni volta è stato il Presidente Mattarella che si è fatto carico di spiegare, convincere che si trattava, da parte italiana, di incidenti venali; di fare la voce grossa e pretendere rispetto quando è stata la Francia a non rispettare gli accordi. A ricucire, comunque e sempre, in nome di quel progetto europeo che ebbe in Spinelli, Monnet, Schuman e De Gasperi i padri fondatori. Ogni volta, in questi anni, è stato Mattarella a riprendere il filo di un discorso che con lungimiranza e visione non poteva essere lasciato cadere. Si può dire che i governi Conte 1 e 2 non hanno lavorato il dossier. È stato l’arrivo di Draghi a palazzo Chigi a riportarlo in agenda. La firma con la stretta di mano a tre ieri mattina al Quirinale è il capolavoro di Mattarella. Se concluderà veramente il suo settennato, come ripete ogni volta che può, questa bella foto di tre (quasi) generazioni europee sorridenti sarà uno dei ricordi più belli del Capo dello Stato.

Dopo la firma al Quirinale, Draghi e Macron sono saliti a Villa Madama di buon mattino per definire al meglio gli undici capitoli del Trattato. E aggiungerne uno, voluto da Draghi: almeno una volta ogni tre mesi un ministro italiano parteciperà ad un Consiglio dei ministri francese e viceversa. Si tratta di una vera e propria condivisione di sovranità. E se si pensa quanto ciascuno Stato, in ogni sua parte e articolazione, sia geloso della propria sovranità, si capisce quanto questo articolo in più voluto da Draghi possa essere rivoluzionario. Il premier Draghi ha spiegato che il Trattato del Quirinale, «interviene in settori cruciali per i nostri Paesi: dalla sicurezza alla giustizia, dalla ricerca all’industria. Istituiamo un servizio civile italo-francese e creiamo un’unità operativa condivisa a sostegno delle forze dell’ordine. Per promuovere le relazioni tra regioni di confine, prevediamo un Comitato di cooperazione transfrontaliera. In ambito migratorio, riconosciamo la necessità di una politica di gestione dei flussi e d’asilo condivisa a livello europeo, basata sui principi di responsabilità e solidarietà». Italia e Francia si impegnano anche «a tutelare i sistemi agricoli e riconoscere le loro unicità. Diamo il via a nuove forme di cooperazione in ambito energetico e tecnologico, nella ricerca e nell’innovazione». In quel momento nei cieli di Roma è stato condiviso anche il passaggio delle Frecce Tricolori e della Patrouille de France.

Fin qui il gemellaggio operativo rafforzato Italia-Francia. Che è soprattutto un patto rafforzato in funzione europea. Un passo importante verso gli Stati Uniti d’Europa che sono, fin dal discorso d’insediamento del governo Draghi, il vero obiettivo della sua Presidenza. L’accordo è infatti l’occasione per Draghi per ribadire la necessità di agire per creare una «vera difesa europea». «Cercare la sovranità europea – ha sottolineato – significa voler disegnare il proprio futuro come lo vogliamo noi europei. L’Europa deve sapersi proteggere, difendere i propri confini. Questo Trattato aiuta la costruzione della difesa europea che è complementare alla Nato. Un’Europa più forte – conclude – fa la Nato più forte». La Francia ha già firmato un Trattato analogo con la Germania (Trattato dell’Eliseo) ad Acquisgrana nel 1963. I due Patti sono, ha spiegato Macron, “complementari”. Anzi, c’è da chiedersi «perché si sia aspettato così tanto tempo per finalizzare l’accordo con l’Italia» . Il presidente francese che a gennaio assumerà la presidenza del Consiglio europeo e a maggio dovrà affrontare la ricandidatura all’Eliseo, ha spiegato che «era quasi un’anomalia» che non ci fosse con l’Italia un Trattato come quello che già esiste la Germania. «In Francia abbiamo l’ossessione di dire che quando le cose diventano complicate con la Germania, ci rivolgiamo all’Italia. Non funziona mai. Non è questo. L’Italia e la Germania sono complementari, sono differenti. Non bisogna cercare delle vie di sostituzione. L’Unione europea è un progetto politico non egemonico». L’obiettivo è «lavorare sempre più insieme. Proporre e avere idee, costruire accordi in 27». Senza l’ossessione della leadership.

Tra le idee che Draghi porterà al tavolo dell’Unione dopo averla condivisa con Macron, è che le norme del Patto di stabilità non potranno tornare quelle che erano prima della pandemia. Unica voce in dissenso è stata quella di Giorgia Meloni che ha parlato di «delega in bianco a Parigi per trattare a nome nostro anche con la Germania». Massima soddisfazione per tutti i partiti di maggioranza: «È un patto che rafforza l’Italia e l’Europa». Ci sono un paio di dossier su cui sarà possibile subito misurare il punto di caduta di tante belle e importanti parole: gestione dei flussi migratori; Tim-Vivendi e la vendita di Oto Melara da parte di Leonardo. In prima fila, per l’appunto, c’è la franco-tedesca Knds.

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Giornalista originaria di Firenze laureata in letteratura italiana con 110 e lode. Vent'anni a Repubblica, nove a L'Unità.