Durante l’anno di presidenza del G20, l’Italia, grazie a Mario Draghi, potrebbe essere “il Paese giusto al momento giusto” per fare da mediatore mondiale nel raggiungere un accordo tra Paesi ricchi e poveri su tassazione, vaccini, ripresa economica e cambiamento climatico. Così scriveva ieri in un lungo articolo il Financial Times dopo aver osservato l’andamento dell’ultima settimana di vertici internazionali (G7, Nato, Ue-Usa) e in previsione del G20 che si riunirà il prossimo mese a Venezia.

Incrociando interviste, fatti e dichiarazioni di esperti di politica estera, l’editoriale del principale quotidiano di economia e finanza al mondo (per lettori e per diffusione) conclude che la «statura di Mario Draghi può fare una grossa differenza» e che «l’Italia può giocare nei prossimi mesi e anni un ruolo chiave». L’editoriale di Ft costringe a tentare un bilancio di questi primi quattro mesi di esecutivo Draghi. Non è il primo e non sarà l’ultimo ma l’endorsement della comunità finanziaria ed economica internazionale va valutato sotto molti punti di vista. Anche di politica interna. In funzione dell’agenda di governo, del semestre bianco e del fatto che sempre di più anche tra i partiti si fa largo l’idea che Draghi «poiché fa molto bene il suo lavoro, debba continuare a farlo fino alla fine della legislatura. E poi magari anche oltre». Suggerisce un membro della maggioranza con incarichi di governo: «E se fosse Draghi il leader tecnopolitico di cui l’Italia ha bisogno per lasciare alle spalle non solo la pandemia ma anche i vent’anni di mancate riforme che l’hanno inchiodata agli utili posti in Europa per crescita e sviluppo?». E mentre lo dice, gli sorridono gli occhi.

Non va tutto bene ma il cronoprogramma del governo Draghi procede nei tempi e nei contenuti previsti. Le cose stanno cambiando in fretta, ben più di quello che può apparire. Arranca sulla giustizia ma la speranza è che una volta che Conte sarà saldo alla guida del Movimento, potrà essere decisa una linea comune e finalmente portata a destino. Obiettivo: ridurre del 50% i tempi del processo civile; del 25% quelli del penale. Draghi ha il problema dell’immigrazione: gli sbarchi sono ripresi, l’asse con Parigi per rafforzare la Libia e quello con Erdogan (Macron in questo caso ha fatto il lavoro per due visto che i rapporti Draghi-Erdogan sono ancora congelati) per ritirare 20 mila mercenari fuori controllo e rapaci, può dare risultati ma non nell’immediato. La prossima settimana c’è il Consiglio europeo (preceduto da un bilaterale domani con Sanchez a Barcellona, lunedì con Merkel a Berlino e martedì con von der Leyen a Roma) e Draghi ha annunciato e, soprattutto, preparato il terreno perché la Commissione dia risposte su rimpatri, permesso di soggiorno europeo, superamento di Dublino.

Al netto di questi due dossier – importanti – il ruolino di marcia dell’agenda di governo va avanti. Martedì prossimo Ursula von der Leyen sarà a Roma per il via libera finale al Pnrr e questo significa 25 miliardi che dovrebbero arrivare in Italia per la fine di settembre. Il ministro delle Infrastrutture e del Trasporto sostenibile ha sbloccato in quattro mesi 101 grandi opere, nominato 67 commissari e messo in moto 97 miliardi già stanziati e che però non riuscivano ad essere spesi. Si tratta di opere viarie e ferroviarie al di fuori del Pnrr, roba pianificata anche dieci anni fa e rimasta bloccata da burocrazia e veti incrociati. L’Italia si sta vaccinando e tra settembre e ottobre avremo raggiunto l’immunità di gregge pur tra gli stop and go delle varie autorità del farmaco, i professori-opinionisti e le legittime perplessità dei cittadini. E poi le Semplificazioni, le nomine dei tecnici che dalla cabina di regia del Mef seguiranno le tappe del Pnrr, l’Agenzia per la cybersicurezza che sembra una roba di nicchia ma significa invece molti miliardi in termini di affidabilità del sistema paese: nessuno investe volentieri dove il 95% dei sistemi informatici degli uffici pubblici non sono sicuri. Gli indici di produzione sono oltre le attese e la disoccupazione potrebbe non essere quella bomba sociale su cui qualcuno sta soffiando.

Ieri pomeriggio un altro piccolo grande passo, né facile né scontato. Il Consiglio dei ministri ha licenziato il decreto che dà il via libera al Green Pass italiano, cioè viaggi in Italia e in tutta Europa per chi ha fatto il vaccino o ha un tampone negativo. Ma anche libero accesso a concerti, cerimonie, eventi pubblici e tutto ciò che richiede presenza, pubblico e quindi ancora rischi. Nel paese, l’Italia, dove le banche dati della Pubblica amministrazione non hanno mai comunicato creando burocrazia e ostacoli a tutto, è un piccolo miracolo. Come lo è la piena interoperabilità delle certificazioni digitali di tutti i Paesi dell’Unione. Perché anche le banche dati europee hanno sempre comunicato poco e male. Sono piccoli grandi passi resi possibili dallo choc dell’emergenza pandemica e dalla consapevolezza, maturata anche negli alzatori di muri nutriti da una malintesa e fuori dalla storia idea di nazionalismo, che la cittadinanza europea è questione prima di tutto di sicurezza e agibilità. Il governo italiano in realtà ieri ha anticipato di due settimane la diffusione del documento digitale europeo. Abbiano dato la linea. Non capita spesso.

Il sito dgc.gov.it è operativo da ieri. Tutte le certificazioni associate alle vaccinazioni effettuate fino al 17 giugno saranno rese disponibili entro il 28 giugno. Poi tutti i dati saranno allineati. Per le info è possibile contattare 800.91.24.91, il numero verde della app Immuni. Già nei prossimi giorni potranno arrivare notifiche via email o sms. I viaggi e i concerti (il 21 giugno ce ne saranno 575 in altrettante città italiane) sono il vero segnale di ripartenza. Ben più della mascherina da togliere e delle fine dello stato di emergenza che stanno animando un surreale dibattito politico diventando bandierine che i leader dei vari partiti provano ad alzare in cerca di identità perdute. Già, i partiti: Draghi li convoca, li ascolta, prende appunti e a volte fa anche quello che suggeriscono. Non per forza e non sempre.

Quando sembra la scelta migliore: sulle cartelle fiscali, ad esempio; o sugli incentivi per non licenziare le persone. Sulle riaperture ha fatto di testa sua. Sul decreto Semplificazioni è la battaglia delle prossime settimane. Di sicuro non lo farà svuotare e depotenziare come è successo ogni volta in questi anni. I partiti hanno molto, quasi tutto, da ricostruire. Se la stagione di Draghi si dovesse allungare, sarebbe utile anche per loro.

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Giornalista originaria di Firenze laureata in letteratura italiana con 110 e lode. Vent'anni a Repubblica, nove a L'Unità.