La pace sulle riaperture è già finita. O meglio, quello pare essere a questo punto un dossier ormai logoro in termini di consenso e propaganda. Dunque si cambia tema. Salvini ne ha già messi sul tavolo altri due: la flat tax che dovrà ispirare la riforma fiscale e l’immigrazione. Da ieri mattina, archiviato il decreto aperture, è partito all’attacco con una serie di post. «Fatemi capire – ha scritto – una nave tedesca (la Sea Eye4, ndr) raccoglie 400 clandestini in acque libiche e maltesi, Malta rifiuta di assegnare un porto e questi si dirigono verso l’Italia. Difendere i confini non è un reato ma un dovere».

Dopo poche ore, eccone un altro: «La Spagna, con un governo di sinistra, schiera l’esercito ai confini per bloccare gli ingressi illegali. Aspettiamo notizie dal Viminale». Nelle stesse ore migliaia di immigrati sono arrivati nell’enclave spagnola di Ceuta in Marocco e hanno iniziato a premere su quel confine di terra per poter entrare in Spagna. Giorgia Meloni, teorica da sempre del blocco navale come unico mezzo per fermare i flussi migratori, ha iniziato anche lei a scrivere post per dare sostegno e solidarietà – come leader di Fdi e ancora di più come presidente dei Conservatori europei – «contro l’aggressione del popolo spagnolo». Mentre a Ceuta si vivevano ore di guerriglia, i due leader hanno continuato a soffiare sul fuoco. «Sia chiaro che i territori governati dalla Lega non accetteranno la distribuzione dei clandestini che è allo studio al Viminale» ha detto Salvini snocciolando numeri: l’Italia «non può permettersi 13.358 arrivi nel 2021 contro i 4305 del 2020 e i 1218 del 2019». La ricetta è quella di sempre: «Rimpatri e porti chiusi». Come la richiesta al premier Draghi: «Mi aspetto da lui qualcosa di più».

Ora, se Salvini fosse un attimo attento all’agenda internazionale e non solo al bollettino degli sbarchi, si sarebbe reso conto che ieri è stato fatto un grosso passo avanti. Anche sul fronte dell’immigrazione. Che, per quello che riguarda l’Europa e i suoi paesi di confine – Spagna, Italia, Grecia, Malta – riguarda soprattutto i flussi in arrivo dal continente africano. Dalla fascia mediterranea ma soprattutto dai paesi del Corno d’Africa e subsahariani. Paesi piegati da guerre, siccità, carestie e ora anche dalla pandemia. Ieri il presidente francese Emmanuel Macron ha riunito a Parigi ben diciotto Capi di Stato e di Governo africani e dei Paesi occidentali, come pure i vertici di Onu, Ue e delle istituzioni finanziarie internazionali. Per l’Italia era presente Mario Draghi nel doppio ruolo di presidente di turno del G20. Tra i leader il premier spagnolo Sanchez, quello portoghese Costa e poi la presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen e il presidente del Consiglio europeo Michel. Angela Merkel ha partecipato in videocollegamento.

Tutti riuniti – in formato ibrido, un po’ presenti un po’ collegati – al Grand Palais Ephemere per studiare e lanciare il “New deal” per l’Africa. Sul tavolo ci sono nuove linee di credito per sostenere i Paesi africani in tema di prestiti a condizioni preferenziali, un miglior coordinamento tra i creditori del Club di Parigi e del G20 sul tema del debito africano, sostegno allo sviluppo del settore privato e un maggiore impegno finanziario internazionale nel favorire la connettività digitale e l’accesso alle energie rinnovabili in Africa. In pratica un Recovery Fund sostenuto dai paesi del G20 africano e dalla Banca Mondiale. È chiaro che solo creando sviluppo in Africa si può interrompere, comunque mitigare, il fenomeno dei flussi migratori. “Aiutiamoli a casa loro” è stato un motto troppe volte frainteso anche in Italia e dai partiti di sinistra. Aiutarli a casa loro è il più efficiente e sensato “blocco navale” che possa essere allestito. «Metta l’Africa in agenda presidente Draghi» suggerì Matteo Renzi un mese fa quando intervenne in aula al Senato il giorno in cui il Parlamento votò il Pnrr.

L’Africa è entrata quindi, con corposo ritardo, nell’agenda Europa ed internazionale. Dopo 25 anni di crescita, il continente è in crisi profonda per l’incremento delle spese sanitarie, la contrazione del mercato delle materie prime, degli investimenti diretti esteri, delle rimesse dall’estero e del turismo. L’indebitamento estero è un vecchio problema. La Banca Mondiale stima nel 2020 un calo del 3,7% del Pil aggregato e del 6,1% di quello pro capite. I lavori si sono articolati in due sessioni. La prima, dedicata ai temi del finanziamento esterno e del trattamento del debito, ha previsto soprattutto interventi finanziari nel breve periodo. Nella seconda sessione sono stati affrontati i temi connessi alla crescita di lungo periodo delle economie africane. Primo fra tutti il sostegno allo sviluppo del settore privato. Secondo le statistiche più autorevoli, nel 2040 l’Africa avrà una forza lavoro superiore alla Cina (500 milioni di persone oggi; 1,1 miliardi previsti nel 2040). Esiste quindi l’esigenza di creare almeno fra i 10 ed i 15 milioni di posti di lavoro all’anno, attraverso una crescita economica media del Continente fra il 6% ed il 7%.

Diversamente, saranno in buona parte flussi migratori destinati ad arrivare in Europa. E l’Europa non se lo può permettere. Molti dossier sono stati dedicati allo sviluppo infrastrutturale, nel settore stradale, nelle telecomunicazioni, nell’accesso alle risorse idriche ed all’elettricità. La Cina ha fatto tutto questo da un pezzo, con metodi anche discutibili. Adesso anche la Turchia è molto presente in Africa, le sedi diplomatiche sono passate in una decina d’anni da poche unità a quasi cinquanta. Adesso tocca all’Europa. Il New deal è anche il presupposto per trattare i rimpatri a livello europeo. «Ue e Usa – ha detto Draghi a margine della conferenza – hanno risposto alle devastazioni della pandemia attraverso finanziamenti per riparare le economie e costruire il futuro. Tutto con grande solidarietà e garantendo l’accesso alle vaccinazioni per tutti. In Africa non c’è nulla di tutto questo. Questo summit comincia a organizzare risposte per l’Africa come quelle di Europa e Usa».

Per il premier italiano «la risposta dovrà essere necessariamente mondiale. Le proposte discusse oggi a Parigi verranno riprese e sostenute al G20. Verranno appoggiate in tutte le istituzioni multilaterali del mondo: dalla distribuzione dei diritti speciali di prelievo alla ristrutturazione dei debiti. Questo è molto importante. Poi va sostenuta la causa dell’Africa all’interno dell’Ida, la banca mondiale per i paesi più poveri». Macron, il padrone di casa, ha detto che il vertice di Parigi per il finanziamento delle economie africane è «il vertice dell’urgenza di fronte alla pandemia. Ma è anche il vertice dell’ambizione. Perché l’Africa ha tutto ciò che serve per riuscire: la sua gioventù, la sua forza produttiva e la sua capacità di raccogliere le sfide». Le intenzioni sono buone. Vedremo il seguito.

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Giornalista originaria di Firenze laureata in letteratura italiana con 110 e lode. Vent'anni a Repubblica, nove a L'Unità.