Piemontese doc, nata a San Carlo Canavese, in provincia di Torino, Elsa Fornero insegna Economia politica all’Università di Torino e studia da anni il funzionamento dei sistemi pensionistici. Il suo nome è legato alla importante riforma della previdenza realizzata negli anni in cui fu ministra del Lavoro e delle politiche sociali del governo Monti (dal 2011 al 2013). Donna di grandi rigore e competenza, ha idee molto chiare sul Piano nazionale di ripresa e resilienza del governo Draghi, in attesa di valutazione da parte delle istituzioni europee.

Il Next Generation Eu è paragonabile al Piano Marshall del dopoguerra? Il Pnrr potrebbe scatenare un nuovo miracolo economico?
Il Piano Marshall va inquadrato in una visione di potenze postbelliche in cui l’Europa era per gli Usa l’alleato fondamentale rispetto all’Unione sovietica. Il Next Generation Eu nasce in Europa. Per la prima volta l’Unione europea reagisce in modo unitario rispetto allo shock. L’idea è che dobbiamo affrontare insieme l’emergenza dando di più ai paesi più deboli e investendo sui più giovani. Il Pnrr esplicherà i suoi effetti se i cittadini ci crederanno e se vedranno una rinascita come quella postbellica.

Ngeu è un primo passo verso un bilancio comune europeo? Ritiene necessaria una politica fiscale comune per completare l’unificazione delle economie nazionali?
La mia risposta è sì a entrambe le domande. È l’inizio di un percorso in una situazione drammatica. I paesi si sono uniti. Questa maggiore consuetudine e solidarietà può smussare le differenze. Il debito comune è un primo passo. Non so se sarà un passo breve e senza ostacoli, ma si va verso un’Europa federale anche grazie a una politica fiscale comune. L’Ue potrà tassare i cittadini europei al fine di favorire la crescita dell’occupazione e per superare le diseguaglianze. Il cambiamento post-covid aiuterà la prospettiva del federalismo fiscale.

Il Pnrr rilasciato dal governo Draghi è meglio dei piani precedenti?
Ci sono senz’altro dei miglioramenti. Il piano è più pragmatico e meno enfatico. Più credibile rispetto alla retorica del precedente governo. A me piace questo tono pragmatico.

Che cosa deve accadere perché questo disegno si realizzi?
Bisogna ricordare che questi fondi europei non sono liberamente spendibili né acquisti fin da ora. Il piano sarà valutato. Sappiamo già che il giudizio sarà favorevole. Ma per la realizzazione molto dipenderà da noi. L’Europa chiede una profonda trasformazione su transizione verde e digitalizzazione. L’economia verde mi pare una sfida non difficile da realizzare: gli italiani si sono appassionati a questo obiettivo, ci credono. Certo, servirà anche cambiare i comportamenti quotidiani dei cittadini, dai rifiuti alla mobilità. I processi di digitalizzazione sono già in atto. La pandemia ci ha dato una spinta fortissima in questa direzione. Ma c’è ancora una distribuzione diseguale delle reti.

Sulla digitalizzazione il Pnrr investe più di 46 miliardi, 10 dei quali vanno alla pubblica amministrazione: la Pa è pronta per questa sfida?
Non ho mai amato la generica condanna della Pa. Nella mia esperienza romana al ministero ho incontrato grandi competenze e spirito di servizio. Poi, certo, ci sono gli imbucati che non sai perché stanno lì. C’è un problema di riconoscimento del merito, di valorizzazione delle competenza. Ma la cultura del mondo amministrativo non vuole la selezione. Servono una selezione basata sul merito, una preparazione adeguata, la progressione di carriera deve premiare i migliori, non i più vicini al potere politico e al sindacato. Le riforme sono processi che richiedono coinvolgimento e devono basarsi su competenza, trasparenza e merito. I centri per l’impiego chiedono personale specializzato, il mercato del lavoro chiede competenza. Le persone che facevano tutt’altro non vanno bene. Vale per tutti i livelli della Pa.

Il Pnrr investe anche sull’equità intergenerazionale, una sfida che la vede da sempre in prima linea.
C’è un proverbio indiano che dice: “Non ereditiamo la terra dai nostri avi; la prendiamo a prestito dai nostri figli. Nostro è il dovere di restituirgliela”. C’è un problema di trasmissione della ricchezza dalle generazioni più anziane a quelle più giovani. Il contratto tra le generazioni è il sistema previdenziale. Si tratta di un patto. Se lo interpreti in maniera miope e guardi solo chi ti vota tendi a promettere tanto. Ma siccome il sistema è obbligatorio si pone il problema della sostenibilità di questo contratto. Lo Stato dovrebbe guardare al futuro ma è fatto di funzionari e di politici che potrebbero avere uno sguardo meno lungo. Bisogna pensare alle future generazioni piuttosto che alle future elezioni.

C’è il rischio che il debito eccessivo possa far saltare questo patto?
Il debito va bene se sarà controbilanciato dalle infrastrutture, se nasce per fare investimenti, se migliora la capacità produttiva. Se lo fai solo per alimentare la spesa corrente ai giovani lasci solo oneri. Se restano senza prospettive i giovani del sud, per esempio, vanno altrove e non contribuiscono più alla crescita del proprio territorio. Bisogna avere lungimiranza. Il richiamo di Draghi a De Gasperi serve per ricordarci che la ricostruzione è per le generazioni future.

Un altro problema irrisolto in Italia è quello dell’equità di genere. Come interviene il Piano Draghi?
La discriminazione delle donne è un problema strutturale nutrito da una cultura profondamente e biecamente maschilista. Le donne sono danneggiate nella progressione delle carriere, non possono godere di sufficienti servizi per la famiglia e non c’è ancora parità nelle mansioni domestiche. Durante la mia esperienza di governo introdussi il congedo di paternità di due giorni, una misura di dimensioni modeste ma dal significato assai importante. Il fatto che la cura post parto possa essere condivisa rappresenta un progresso. Ma servono politiche pubbliche dedicate. L’intenzione del piano di Mario Draghi è molto buona. Sul fronte degli asili nido, per esempio, c’è l’obiettivo di raggiungere la quota europea entro il 2026. Forse ci vorrebbero più risorse.

Perché la crescita dell’occupazione femminile è così importante per lo sviluppo dell’intero paese?
Bisogna sapere che ciò che si fa per il lavoro femminile si fa anche per il sud. Il più grande divario di genere è al sud. L’occupazione femminile è indispensabile per raggiungere l’indipendenza economica, ma molti uomini impediscono l’indipendenza tout court. Per smantellare questa mentalità servono politiche fiscali con aliquote diverse a vantaggio delle donne. Se ne riparlerà probabilmente in sede di riforma fiscale.

Il Pnrr investe 17,2 mld per l’inclusione e la coesione. Basteranno?
Nel piano Draghi ci sono tanti soldi per il Sud. L’Europa vuole ridurre le distanze con la media europea. Già oggi viceversa il nord dell’Italia è alla pari con il nord dell’Europa. Mentre il sud arranca e si impoverisce. L’impegno dell’Europa e di Draghi mostra che questo divario non è più accettabile. Basteranno queste risorse? Serve certamente molta partecipazione e preparazione da parte dei cittadini: il sud ha già perso molte occasioni. Spesso i progetti ci sono, ma non si realizzano da soli. L’Italia non se lo può più permettere.

Il piano Draghi destina poi parecchie risorse alla costruzione della sanità territoriale e alla digitalizzazione.
La crisi sanitaria ha messo in discussione alcune certezze come l’eccellenza della sanità lombarda. Il sistema lombardo non ha funzionato: ospedali eccellenti nella ricerca e nelle cure, ma anche grandi lacune. La sanità meridionale, viceversa, non è sembrata così arretrata come si temeva. La catastrofe attesa al sud non si è realizzata. Ovviamente dei grandi ospedali non si può fare a meno, ma bisognerà ripensare il sistema sanitario rafforzando il modello di medicina di comunità e di prossimità.

Basteranno per questo 20 miliardi? Avremmo dovuto usare le risorse del Mes?
Sì, io il Mes l’avrei usato. Ma era diventato una bandiera. Il governo Draghi però sta facendo un’opera di “decantazione ideologica”. Grazie a questo si potrebbe fare ricorso al Mes, prima o poi. Oggi servono costruttori, non più demolitori, come ha chiarito il presidente Mattarella. Bisogna riporre le bandiere e scegliere il pragmatismo, che non vuol dire non avere una visione. Come ricorda sempre Carlo Cottarelli, non è vero che negli ultimi anni ci sia stata una riduzione della spesa sanitaria. Semmai si è cercato di tagliare gli sprechi. Investire oggi 20 miliardi mi pare un buon avvio.

Che cosa manca nel piano?
Non esiste il piano perfetto. E ci sarà un problema di gestione. Io avrei apprezzato più spese per la ricerca. Ricordiamoci che è la ricerca che ha realizzato rapidamente i vaccini contro la pandemia. È la ricerca che offre soluzioni in caso di shock sanitari o ecologici. Se hai le conoscenze le risposte arrivano prima. Ecco perché servono la ricerca specialistica e una classe dirigente preparata. Il tema dell’istruzione è cruciale e il livello medio dell’istruzione è il nostro problema storico. Il principio dell’uno vale uno non funziona, lo abbiamo verificato.

Che cosa serve perché il piano di Draghi abbia successo?
Draghi lo ha spiegato molto bene. Il piano riuscirà se saremo capaci di battere la corruzione, la stupidità e i centri di potere che si opporranno alle riforme. Il Pnrr da solo non basta, saranno fondamentali i comportamenti.

Journalist, author of #Riformisti, politics, food&wine, agri-food, GnamGlam, libertaegualeIT, Juventus. Lunatic but resilient