La sua posizione inizia a vacillare
“Ha l’ansia da prestazione”, Salvini in difficoltà su tre fronti: nella Lega, con la Meloni e nel governo
«Si chiama ansia da prestazione, ma Matteo deve stare attento a non esagerare: la Lega vuole stare in questo governo e la decisione di non votare un provvedimento, quello sulle riaperture, che abbiamo contribuito a scrivere e che abbiano rivendicato per una settimana, è risultata a molti di noi francamente incomprensibile». Il deputato leghista è in una pausa dell’aula alla Camera. È il primo pomeriggio di ieri. C’è molto fermento tra i gruppi della Lega, tanto al Senato quanto a Montecitorio. E se a palazzo Madama prevale una certa assuefazione al diktat del Capitano perché «far scattare il coprifuoco alle 22 invece che alle 23 è francamente incomprensibile», alla Camera si fanno ragionamenti più sottili. In nome della gradualità e della convivenza politica in una maggioranza di unità nazionale.
«Abbiamo già ottenuto di riaprire il 26 aprile invece che a maggio – si spiega – e non era scontato considerati i numeri. Tra due o tre settimane, sempre che i contagi scendano, potremo mettere in discussione gli orari del coprifuoco. Una cosa per volta. A quel punto Giorgia Meloni non avrà più argomenti, Draghi glieli sta togliendo uno dopo l’altro. Si tratta di aspettare e avere pazienza». E di non alzare continuamente l’asticella, rilanciare ogni volta dopo che si è ottenuto qualcosa, aprire in continuazione nuovi fronti di scontro e rivendicazione. È la maionese impazzita che sta lavorando Matteo Salvini. Mercoledì sera, però, sussurrano parlamentari leghisti, «Giorgetti è stato ad un passo dalle dimissioni». Perché la figuraccia più grossa è toccata a lui: come capodelegazione della Lega aveva preso parte alla cabina di regia dello scorso venerdì che aveva infranto il tabù di “aprile in rosso” e sdoganato il tema delle riaperture finora bloccato da un pezzo di governo e da un plotone di virologi ed epidemiologi.
È stata, quella, una decisione politica e “un rischio ragionato” che Draghi ha avuto il coraggio di assumere dovendo però fare molta attenzione a trovare una mediazione tra le fosche previsioni degli esperti – roba quasi quasi da scongiuro – e tra spinte opposte, quella ad aprire dei partiti di centrodestra e Italia viva, quella a tenere ancora chiuso di una buona parte di Pd e 5 Stelle e Leu. La Lega, infatti, lo stesso Salvini, ha potuto usare lo scalpo delle riaperture nelle sue dichiarazioni e interviste e nelle piazze. Poi mercoledì il dietro front: la lunga trattativa al telefono Draghi-Salvini nella stanza accanto a quella del consiglio dei ministri riunito e in attesa; il “tiriamo dritto” di Draghi; l’annuncio sconfortato di Giorgetti che ha dovuto smentire se stesso telecomandato dal suo leader al telefono. In quel «non possiamo votare, per ragioni che non sto qui a spiegare» c’è tutto il problema della Lega. Cosa sta combinando il suo leader?
I fronti di Salvini ormai sono tre: quello interno, dove qualcuno comincia a soffrire l’attivismo e l’ossessiva ricerca mediatica del leader (“l’ansia da prestazione”); quello con l’alleata-rivale Giorgia Meloni che cresce nei sondaggi facendo battaglie aperturiste ma anche portandosi avanti nei dossier che contano, ad esempio la rete 5G. Il terzo è quello interno alla maggioranza dove un pezzo di Pd e 5 Stelle hanno preso la palla al balzo e hanno cominciato a segare l’albero dove è seduto il Carroccio immaginando un Draghi 2 senza la Lega ma con Forza Italia. Spaccando cosi l’unità del centrodestra. Non è un caso che sia stato il ministro Franceschini (Pd) mercoledì durante il consiglio dei ministri, dopo che Giorgetti aveva comunicato che non avrebbero votato il decreto, a tornare sul punto chiedendo col dito alzato: «Non ho capito bene, quindi cosa fa la Lega, si astiene, vota contro…». A quel punto il premier, che ne avrebbe fatto volentieri a meno, ha dovuto dire quello che ha detto: «È un precedente grave, non si può smentire quello che è stato deciso insieme. È un pessimo messaggio». Non è un caso, anche, che sul verbale del Cdm i tre ministri leghisti risultano “assenti”. Meno compromettente di “astenuti”.
Ora, non è chiaro dove voglia arrivare l’azzardo di Salvini. Di sicuro è entrato nella modalità “esternazione a getto continuo”. Ieri mattina ha parlato tre volte tra Camera, Senato e palazzo Chigi. A parole ha tenuto fermo un punto – «nessuna crisi, avanti con Draghi che ha la mia massima stima ma noi dobbiamo rispondere anche al nostro popolo» – ma ha agito in direzione opposta. Ha convocato, da remoto, l’ufficio di presidenza del Carroccio per rassicurare le truppe su quanto stava succedendo visto che le voci “Matteo vuole staccare la spina” stavano aumentando soprattutto al Senato. Ha attaccato Draghi sulla scuola: «Non ha voluto un’ora in più di libertà però ha portato al 70% la presenza in classe dopo che presidi e insegnanti ci hanno chiesto il 60% e su questo era stato trovato un accordo». L’effetto immediato è stato che un suo fedelissimo, il governatore del Friuli Massimiliano Fedriga che guida la Conferenza Stato-Regioni ha convocato una riunione per le 15 del pomeriggio. Nel frattempo sempre Salvini ha acceso un altro fuoco chiedendo le dimissioni della sottosegretaria alla Giustizia Anna Macina (M5s) che ieri mattina in un’intervista ha buttato là un concetto che tutti hanno elaborato ma nessuno aveva ancora esplicitato: «La senatrice Giulia Bongiorno, che è anche il legale della giovane stuprata e per cui è a processo il figlio di Grillo, agisce da legale o da senatrice della Lega?». Il sospetto di Macina nasce dal fatto che «Salvini ha detto di essere a conoscenza di dettagli dell’inchiesta noti solo a chi detiene il fascicolo». Un altro incendio da spengere.
Tra una cosa e l’altra Salvini ha lanciato anche l’allarme Arena di Verona: «In base al decreto apertura potranno entrare solo mille persone». Franceschini gli ha risposto: «Va bene astenersi ma almeno informati». L’Arena infatti, come altri teatri o impianti sportivi, potrà chiedere la deroga alla Regione. E ha seminato altro veleno travestito da fakenews. Tipo che il «coprifuoco durerà fino al 31 luglio. Così ci giochiamo la stagione turistica». Nulla di più falso. E terroristico. Il ministro Gelmini si è fatta carico di spiegare punto su punto con molta pazienza. Il coprifuoco, ad esempio, «sarà rivalutato in base ai dati nell’arco di tre-quattro settimane come ha spiegato il presidente Draghi». Più o meno a metà maggio quando saranno chiari gli effetti delle riaperture. Soprattutto delle scuole.
Sulla cui riapertura si sta consumando da giorni una battaglia al ministero. Il ministro Bianchi, che pure guidava la taskforce ai tempi del ministro Azzolina, ha scoperto suo malgrado che molto poco è stato fatto negli oltre ottomila istituti in questi tredici mesi per consentire di tornare tutti in classe in presenza. Ci sono oggi gli stessi problemi di un anno fa. Come se qualcuno avesse scommesso sul mancato ritorno in classe. Tutti in dad felici e contenti. A questa evidenza dei fatti il premier Draghi si è opposto chiedendo comunque a tutti di fare “uno sforzo in più”. È così passato dal 60% obbligatorio al 70%. Sindacati e associazioni hanno alzato grida di orrore: «È una follia, si alzeranno i contagi». Qualche governatore, ad esempio Emiliano, ha firmato ordinanze per cui i genitori potranno decidere quello che vogliono. Una brutta battaglia che la dice lunga sul declino delle nostre scuole. Dopo tredici mesi di scaricabarile, il Re è nudo e i responsabili di questo fallimento hanno nomi e cognomi. E complici. Ma siccome anche le scuole creano o tolgono consenso, Salvini si è buttato a pesce anche in questa querelle. Giocando a nascondino con la coerenza. Per cui le scuole chiuse sono state uno scandalo. Ma lo sono anche se qualcuno fa di tutto per aprirle. È la coerenza il quarto problema di Salvini.
Ieri sera ha incontrato ministri e sottosegretari per fare il punto sul Pnrr che lunedì Draghi presenterà al Parlamento dopo ore e ore di riunioni con i gruppi e i singoli ministri. Meloni denuncia che «di questo Pnrr sappiamo ancora meno di quello di Conte». In realtà i parlamentari hanno a disposizione già varie schede di approfondimento. «Tutto bene, ci sono molti progetti della Lega. Altri ne aggiungeremo» ha detto Salvini alla fine della riunione. Sapendo bene però che nulla potrà essere aggiunto al Pnrr una volta presentato.
© Riproduzione riservata