Quella di ieri è stata una piazza che ha fatto più male di tutte quelle viste in queste settimana. La violenza è stata “solo” quella disperazione che mette a nudo la verità. «Questa non è cattiveria – diceva una signora proprietaria di una pizzeria a Roma – questa è la disperazione di chi come noi non ha più nulla da perdere». Di chi ha impegnato un po’ di gioielli, di chi ha venduto la macchina e anche la moto. Di chi chiede “lavoro e non sussidi”. Di chi si mette in ginocchio a mani alzate davanti ai poliziotti con caschi e manganelli. Non li hanno mai dovuti usare. Ma neppure hanno fatto muovere il corteo dal catino del Circo Massimo verso il centro e i palazzi della politica.

Quattromila persone al Circo Massimo che protestano civilmente e raccontano storie di affitti, bollette, tasse e altri costi fissi che in questo anno «abbiamo dovuto continuare a pagare senza poter lavorare» arrivano dentro palazzo Chigi molto di più se si fossero stipati in piazza Montecitorio. Le loro voci e le loro storie fanno male. Ed è un problema in più per l’esecutivo Draghi. Uno dei tanti visto che la fortuna non aiuta e i miracoli non sono di questo mondo. Le risposte, quelle vere, a questo punto non possono più attendere. Ieri il premier ha deciso così di accelerare sul nuovo scostamento di bilancio. Il Consiglio dei ministri è convocato per questa mattina (ore 11.30).

L’ordine del giorno recita “varie ed eventuali”. Ma gli uffici del Mef lavoreranno tutta la notte per portare sul tavolo un nuovo scostamento di bilancio per circa 40 miliardi. Si tratta del primo vero provvedimento economico antipandemia del governo Draghi (il Sostegni 1 agiva sullo scostamento di 32 miliardi già deciso dal Conte 2). La parola chiave del nuovo deficit è “costi fissi”, quelle spese di affitto e utenze che bar, ristoranti, pizzerie e piscine e palestre hanno continuato a pagare nell’ultimo anno pur non avendo potuto lavorare. Draghi vuole destinare una larga fetta del nuovo deficit per indennizzare queste voci. È stata la promessa al centro dell’incontro a palazzo Chigi che ieri pomeriggio una delegazione dei manifestanti del Circo Massimo ha ottenuto con la sottosegretaria Debora Bergamini (Fi). Turismo, ristorazione e ambulanti: sono i settori più penalizzati perché chiusi da quasi un anno e per questo dovrebbero i beneficiari esclusivi di 30-35 miliardi del nuovo debito. Quello che resta dovrebbe essere destinato a quelle opere pubbliche necessarie che non riescono ad entrare nel Pnrr.

Se venti miliardi sono un debito necessario, gli alti venti rientrano in quel “debito buono” che diventa investimento per il futuro. I dettagli saranno più chiari in un successivo decreto una volta che il Parlamento avrà autorizzato la nuova cifra. Da quello che filtra, i ristori saranno elargiti sotto forma di contributi a fondo perduto per due mensilità (e non una soltanto come nel precedente decreto sostegno), con le medesime modalità di assegnazione ed erogazione. Ci saranno poi anche stanziamenti per la riduzione dei costi fissi, come sgravi sugli affitti e sulle bollette, il congelamento del canone Rai per i locali commerciali. In valutazione anche misure fiscali come il taglio dell’Imu sui beni strumentali e un nuovo rinvio di Tosap e Cosap.

Si tratta dell’unica risposta accettabile per i quattromila al Circo Massimo e tutti gli altri manifestanti che in modo civile in questa settimana hanno urlato la loro disperazione. Il governo rinvia invece a domani la presentazione del Documento di economia e finanza. Con i nuovi 40 miliardi di debito (sono 180 dall’inizio della pandemia) il disavanzo per il 2021 dovrebbe salire al 10% contro le previsioni dell’autunno scorso che lo davano al 7%. Il governo sta lavorando anche sulle riaperture. È una buona notizia che ieri siano state autorizzate le partite degli Europei di calcio con pubblico in presenza in calendario a giugno. Diversamente la Uefa avrebbe cancellato le date italiane di un torneo che, saltato lo scorso anno, toccherà varie città europee. Questioni di giorni e il Comitato tecnico scientifico autorizzerà anche le zone gialle. E quindi le aperture per bar e ristoranti a pranzo e anche a cena se i posti sono all’aperto e seduti. Poco importa se sarà già in aprile come chiedono Lega, Fi e Iv o se invece questa graduale riapertura avverrà a maggio. Queste sono bandierine di partito che lasciano il tempo che trova. L’importante è sapere che sarà così. E che l’estate sarà “normale” pur con mascherine e distanziamenti.

Certo, le variabili restano. Si chiamano contagi e vaccini. Ieri sono arrivati anche in Italia le dosi del vaccino monodose Jannsen (J&J) ma non le potremo usare. L’ente di sorveglianza Usa (Fda) ha chiesto “in via precauzionale” uno stop per valutare sei casi di donne tra i 18 e i 48 anni (su un totale di 6,8 milioni di dosi inoculate) che hanno avuto problemi analoghi a quelli di Astrazeneca. Adesso si attendono le valutazioni di Ema e Aifa. Lo stop ad oggi non preoccupa la struttura del commissario Figliuolo. Certo non a raggiungere il target di 500mila inoculazioni al giorno previsto per l’ultima settimana di aprile. Al momento si viaggia sulle 300mila al giorno. L’approvvigionamento dei vaccini è, con la rabbia di ristoratori e partite Iva, la spina nel fianco del premier. Arrivato due mesi fa a palazzo Chigi ha trovato poco o nulla su questo fronte. Non c’era un Piano vaccini degno di questo nome, adesso almeno c’è una macchina pronta. Le regioni andavano per conto proprio e infatti la disomogeneità è ancora forte nelle perfomance del numero dei vaccinati tra le fasce a rischio, anziani e fragili. Soprattutto l’Italia, dove il governo Conte 2 ha del tutto ignorato il dossier relativo alla produzione nazionale dei vaccini. Se già in estate Francia e Germania potranno essere autonome, l’Italia dovrà aspettare l’autunno-inverno. La riconversione degli stabilimenti per produrre il vaccino è un dossier aperto dal governo Draghi e di cui prima nessuno si era occupato.

In tutto questo è evidente che c’è un problema al ministero della Salute. Che va al di là della campagna – quasi una caccia all’uomo – scatenata da Lega, Forza Italia, Fratelli d’Italia e giornali d’area contro Roberto Speranza e lo staff del ministero. Pubblicamente Draghi difende il ministro a spada tratta. La scorsa settimana a domanda precisa ha replicato: «Ho voluto io Speranza nel governo perché lo stimo». In questi giorni però sono tornati i rumors di una sua “sostituzione imminente”. Un promoveatur ut amoveatur che porterebbe Speranza a ricoprire un ruolo chiave nell’Unione europea – si dice proprio al fianco di Sandra Gallina voluta da von der Leyen per negoziare i vaccini – e libererebbe la casella del ministero. Certo le voci su questa “promozione” vanno di pari passo all’indagine sull’assenza di un vero Piano Antipandemico che vede coinvolto il numero due dell’Oms Ranieri Guerra e che ha acceso i riflettori anche sul capo di gabinetto del ministro, Goffredo Zaccardi, ex braccio destro di Bersani quando era ministro.

Al di là delle inchieste che faranno il loro corso, Speranza è certamente il ministro che ha legato maggiormente il suo nome all’emergenza, alle chiusure e alla crisi economica. Un mestiere e un ruolo difficile, il suo, senza dubbio. Bravissimo a chiuderci, improvvido nella scrittura di un libro poi ritirato dagli scaffali, Speranza ha negato per troppo tempo anche solo la speranza e la progettazione di un graduale ritorno alla normalità. Nel Conte 2 e con Draghi. E questa continuità è un problema per questo governo.

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Giornalista originaria di Firenze laureata in letteratura italiana con 110 e lode. Vent'anni a Repubblica, nove a L'Unità.