Non per decisionismo ma per coraggio. Il governo Draghi va avanti sulla strada delle riaperture senza sottostare al pressing di chi voleva di più o di chi da giorni prevede ogni sciagura e parla di rischio avventato e non ragionato. Il decreto sulle Riaperture andrà oggi in Consiglio dei ministri e ieri sera è stato discusso prima nella Cabina di regia convocata alle 17 e poi nel preconsiglio intorno alle 19. Salvo colpi di scena notturni e mattutini che non sembrano però all’ordine del giorno, il testo del decreto è la bozza circolata ieri, 11 pagine, 14 articoli. Un po’ di sana sintesi che non guasta per la comprensione generale.

Draghi ha usato il pugno di ferro un po’ con tutti: forze politiche di maggioranza e opposizione; medici e sanitari e anche i presidenti delle regioni. Tornano quindi le zone gialle a partire dal 26 aprile, una settimana prima della scadenza prevista (il 2 maggio). Il coprifuoco resta, almeno nella bozza e almeno per ora, alle 22, senza indulgenza per chi voleva “almeno le 23”. Le scuole saranno tutte in presenza nelle zone gialle ed arancioni e anche nelle zone rosse con residui di didattica a distanza al massimo al 50 per cento. Non sono possibili deroghe. Con buona pace di quei governatori, ad esempio Emiliano in Puglia, che ha già previsto il fai da te con tanto di ordinanze a questo punto irregolari. Ma soprattutto, Draghi ha tenuto il punto sui “Certificati verdi”, versione ingentilita del passaporto sanitario. Si tratta dello strumento che farà ripartire, seppure a piccoli passi, il turismo nel nostro paese.

Draghi ha ascoltato tutti per giorni. Si è confrontato, ha ragionato, poi ha deciso mixando rischio e necessità, l’obbligo di continuare a combattere il virus e tutte le sue varianti vaccinando il più possibile – sono state sfiorate le 370 mila dosi giornaliere, si avvicina quindi il target delle 500 mila al giorno promesse dal generale Figliuolo – e anche la necessità di ridare fiato a un paese stremato, depresso, dove intere categorie economiche sono chiuse da oltre un anno, altre da novembre. È un decreto che segna l’atteso “cambio di passo” sotto tanti punti di vista. Nel rapporto con le regioni, ad esempio. L’articolo 3 regola le attività scolastiche e didattiche di ogni ordine e grado. Quando una settimana fa è emerso che la scuola sarebbe tornata in presenza “anche nelle zone rosse e almeno per l’ultimo mese dell’anno scolastico”, i presidenti di regione hanno storto la bocca. Qualcuno, ad esempio Emiliano, si è subito portato avanti nel lavoro firmando un’ordinanza che autorizza il fai-da-te.

In Puglia saranno le famiglie a decidere se e come mandare i ragazzi a scuola. Anarchia. Altri hanno aspettato il fine settimana, hanno testato lo scetticismo di presidi e sindacati e hanno iniziato la settimana spargendo dubbi sui rischi di nuove impennate di contagi. Elencando i problemi: trasporti pubblici, distanziamento, tracciamento. Peccato che, al netto dei banchi con le ruote, siano gli stessi problemi di tredici mesi. Tredici mesi passati invano? O qualcuno ha scommesso sul fatto che anche questo anno scolastico non sarebbe mai terminato in classe? Come che sia, l’anarchia dei governatori ha infastidito palazzo Chigi. Così, nell’articolo 3 si legge che «le disposizioni al primo periodo (tutti in classe anche nelle zone rosse, almeno per il 50 % della popolazione studentesca, ndr) non possono essere derogate da provvedimenti dei Presidenti delle regioni e delle province autonome di Trento e Bolzano». Le deroghe, si specifica, sono possibili «solo in casi di eccezionale e straordinaria gravità dovuta alla presenza di focolai» e devono essere adottati «sentite le competenti autorità sanitarie». S’introduce poi il concetto di forme flessibili nell’organizzazione dell’attività didattica: lezioni all’aperto, nei parchi, nei giardini, nei musei (che riapriranno).

L’altro pezzo forte del decreto è all’articolo 10, dopo aver riaperto ristoranti, spettacoli ed eventi sportivi all’aperto e al chiuso, piscine, palestre e sport di squadra, attività commerciali, fiere, convegni e congressi. L’articolo 10 istituisce i “Certificati verdi”, tema ostacolato in modo bipartisan per un presunto rischio “discriminatorio”. In realtà l’unico modo per riaprire in sicurezza le porte al turismo. Interno e straniero. Con i “Certificati verdi”, si potrà infatti andare da una regione all’altra anche se sono rosse o arancioni. Tra gli allegati del decreto ci sono 3 diversi moduli di certificazione: il primo attesta l’avvenuta vaccinazione; il secondo la guarigione da Covid; il terzo l’avvenuto test antigenico rapido o molecolare con esito negativo. Strutture sanitarie pubbliche e private, farmacie, medici e pediatri potranno rilasciare la card «a decorrere dall’entrata in vigore del presente decreto». Le “certificazioni verdi” sono rilasciate «in conformità al diritto vigente negli Stati membri dell’Unione europea e sono equivalenti a quelle rilasciate da uno Stato terzo». Il punto è capire, ai fini del turismo, se le “Certificazioni verdi” consentiranno di evitare le quarantene.

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Giornalista originaria di Firenze laureata in letteratura italiana con 110 e lode. Vent'anni a Repubblica, nove a L'Unità.