«L’espressione “rischio ragionato” è vuota e decisamente politica e non scientifica»: così ha commentato Andrea Crisanti le parole di Mario Draghi. Con tutto il rispetto dell’autorevole scienziato, non ce ne può fregar di meno. Come delle fatwe di altri virologi d’antan che temono di essere privati dello ius vitae ac necis sugli italiani. Finalmente Draghi ha assunto quell’indirizzo che in tanti si aspettavano e che aveva sintetizzato in poche parole nella precedente conferenza stampa: il miglior sostegno all’economia sono le riaperture. Intanto si impiegheranno altri 40 miliardi a sostegno di attività produttive, di categorie e persone che farebbero volentieri a meno di misure assistenziali e sostitutive, se potessero lavorare in condizione di relativa sicurezza, come fanno tutti i giorni da mesi milioni di persone nei settori che, dopo il lockdown, hanno ripreso a lavorare secondo le regole e le precauzioni incluse nei Protocolli (peraltro recentemente aggiornati e ampliati dalle parti sociali).

Nel “metterci la faccia” Draghi è stato molto corretto, quando ha difeso il ministro Roberto Speranza, preso di mira come il responsabile di una linea di rigore eccessivo (che ha perlomeno condiviso con i governi di cui ha fatto parte come titolare delle politiche della salute). Chi scrive non ha dimenticato che Mario Monti non ebbe la stessa fermezza nel difendere Elsa Fornero. Auguriamoci che non vi siano, in zona Cesarini, dei “contrordini” e dei ripensamenti come purtroppo è accaduto nei mesi scorsi. È venuto il momento di rischiare, con la stessa logica che vale per le vaccinazioni: si corrono meno rischi ad aprire, con la gradualità e le cautele del caso, che a tenere in apnea importanti settori dell’economia, ricorrendo a continui scostamenti di bilancio sempre più onerosi e a debito. È ora anche di accorgersi che non ci sono solo effetti diretti della pandemia e delle misure assunte dai governi, da un anno a questa parte, per contenere la diffusione del contagio.

Conosciamo le conseguenze sull’economia (specie in alcuni settori che sono stati chiamati a pagare per tutti), sull’occupazione, sulla scuola, sulla vita sociale, culturale e civile delle famiglie e delle persone. Un tragico corollario che si accompagna ai bollettini quotidiani delle sofferenze, dei decessi, del numero delle vaccinazioni. Ma c’è una zona fino a ora rimasta nell’oscurità: le ripercussioni sulle altre patologie trascurate da una sanità presa in ostaggio da oltre un anno dal coronavirus. Il Foce (ConFederazione di oncologi, ematologi e cardiologi) pochi giorni fa (l’11 aprile) ha pubblicato una nota sullo “Stato della gestione delle patologie oncoematologiche e cardiologiche durante la pandemia Covid in Italia”, allo scopo di monitorare la situazione in cui, a seguito della pandemia Covid-19, versano 11 milioni di italiani pazienti oncologici, ematologici e cardiologici. Oltre a questi, altri 5-6 milioni che annualmente si sottopongono agli screening oncologici sono anche loro penalizzati dalle vicende che riguardano l’attuale emergenza pandemica. Si tenga presente che tra ischemie, infarti, malattie del cuore e cerebrovascolari muoiono più di 230mila persone all’anno.

In seconda posizione troviamo i tumori, che causano il decesso di 180mila persone. Il Foce nel documento lamenta i seguenti aspetti critici: a) ritardi o cancellazioni di interventi chirurgici per tumore dovuti a un affollamento fino all’intasamento delle terapie intensive; b)difficoltà nell’afflusso ai Pronto Soccorso e alle unità di terapie intensive cardiologiche di pazienti con infarto del miocardio in fase acuta; c) riduzione degli interventi di impianto percutaneo di valvole aortiche, di riparazione della valvola mitrale e di angioplastiche coronariche. Ciò ha portato, secondo i dati presentati dalla Società Italiana di Cardiologia, a un raddoppio della mortalità per questa patologia; circa il 20-30 % dei trattamenti oncologici sono stati perlomeno ritardati, se non cancellati; vi è stato un forte rallentamento degli screening oncologici per la prevenzione di importanti tumori; sono stati quasi azzerati i controlli dei pazienti in follow up per patologie oncologiche, oncoematologiche o cardiologiche. Ai reparti Covid sono stati assegnati numerosi posti letto di medicina o chirurgia con conseguente sospensione delle attività chirurgiche fra le quali moltissimi interventi per patologie neoplastiche.

Per quel che riguarda la mortalità complessiva osservata dal marzo al dicembre 2020, i dati Istat, se confrontati con la media della mortalità dello stesso periodo dei 5 anni precedenti, mostrano, secondo il Foce, come si sia verificata una mortalità in eccesso del 21%; e cioè valutabile in 108.178 decessi in più, dei quali circa il 69% sono dovuti principalmente al Covid e di questi una buona parte hanno colpito pazienti affetti da patologie cardiologiche od oncoematologiche, che sono a maggior rischio di letalità in caso di contagio. Il restante 31% è costituito da morti per patologie “non Covid”, soprattutto tempo-dipendenti (ovvero di pazienti la cui salvezza è legata alla rapidità dell’intervento, come le patologie cardiologiche), di ammalati che non hanno trovato un’assistenza adeguata e tempestiva in occasione di eventi acuti.

Tra le cause della persistente elevata mortalità, confermata nel nostro Paese anche di recente, nel documento si fa riferimento all’abnorme sequenza delle priorità temporali all’accesso al vaccino in questi ultimi tre mesi, che ha portato categorie di cittadini certamente non a rischio di letalità in caso di contagio a precedere i soggetti realmente a rischio e cioè gli anziani, soprattutto gli ultrasettantenni, e i pazienti fragili affetti dalle grandi patologie. I dati attuali, infatti, dimostrano che finora ben il 35% dei cittadini già vaccinati non appartenevano alla categoria a maggior rischio di letalità e soprattutto dei circa 16 milioni di cittadini a maggior rischio solo il 38% ha finora ricevuto la vaccinazione. Per quel che riguarda i cittadini a rischio per età, i dati registrati nel documenti dimostrano che solo il 68% degli over80 ha ricevuto la prima dose e soltanto il 38% entrambe le dosi, cosi come solo il 19% dei cittadini di età compresa fra i 70-79 anni.

Il Foce già in data 16 febbraio 2021 richiedeva, poi, l’anticipazione alla vaccinazione in concomitanza dei cittadini ultraottantenni di una categoria di pazienti ultra fragili, inclusi 150mila pazienti oncologici, 160mila cardiologici e 70mila pazienti oncoematologici in corso di trattamento attivo o trattati negli ultimi 6 mesi, le cui caratteristiche cliniche e patologiche erano già state concordate e definite con il Ministero. Tuttavia, al 29 marzo 2021, soltanto 3 milioni circa di dosi vaccinali sono state somministrate ai 4 milioni e 400 mila cittadini ultraottantenni italiani (raggiunti quindi solo un terzo del target).

Tale popolazione rappresenta circa il 62% dei morti per Covid nel nostro Paese e anche i cittadini tra 70 e 79 anni hanno una letalità del 23% per una letalità complessiva degli over 70 dell’85%. Di questi cittadini (età 70-79 anni), il cui numero si aggira attorno ai 6 milioni, addirittura soltanto il 3,9% è stato finora completamente vaccinato. È noto altresì che il 96,9% dei morti da Covid erano affetti da 1-3 o più patologie croniche, mentre solo il 3,1% non erano affetti da nessuna patologia cronica. Pertanto prendersi cura delle altre grandi patologie costituisce una misura che può ridurre anche il contagio e il decesso da covid-19. In quel contesto, una recente indagine del Foce su tutto il territorio nazionale ha evidenziato come, a fine marzo, solo il 7,3% dei pazienti oncologici che ne aveva diritto è stato effettivamente vaccinato. Tutto ciò per ribadire che le categorie a rischio di mortalità erano note da molti mesi sulla base dei dati periodici Iss sulle caratteristiche deceduti positivi al Covid.

Secondo il documento, la modalità di svolgimento della campagna vaccinale e in particolare la mancata vaccinazione prioritaria delle categorie a maggior rischio di letalità rappresentano, allo stato degli atti, l’elemento più importante per quanto riguarda la persistenza di elevatissimi livelli di mortalità nel nostro Paese. I dati al 4 aprile mostrano che il nostro Paese è al 16° posto in Europa per vaccinati con una prima dose over 80 rispetto alla totalità degli aventi diritto (Italia 56%) ed addirittura al 22° ed ultimo posto della stessa graduatoria per i cittadini tra i 70 e 79 anni (10%). Aggiustare il tiro nell’operazione vaccinazioni in parallelo con un programma di riaperture è dunque la prospettiva da perseguire.