I dati pubblicati ieri dal Riformista sull’avanzamento della spesa sono certamente allarmanti soprattutto per le Regioni meridionali (Puglia a parte), ma in linea con un andamento abbastanza chiaro rispetto all’attuazione dei programmi regionali in questo ciclo di programmazione. I numeri certamente dicono che il grido di allarme di Mario Draghi a proposito della capacità di spesa delle Regioni meridionali non è infondato; bisogna altresì dire che le difficoltà di spesa sono un fenomeno spesso generalizzato e anche alcuni Programmi operativi nazionali, affidati ai Ministeri, sono in forte ritardo, con percentuali di attuazione che spesso non superano il 40%.

Come ben sappiamo, però, in questo caso mal comune non fa mezzo gaudio; anzi, la difficoltà dei soggetti attuatori (non parliamo solo delle Regioni, ma anche dei Comuni, soprattutto di quelli grandi, e di altri enti pubblici e imprese) di portare avanti i progetti è un evidente rischio non tanto o non solo sulla chiusura dei programmi in corso, per i quali si proverà certamente a mettere in campo qualche miracolo (che non sempre sono a vantaggio della qualità della spesa) ma soprattutto in visione dell’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr).

Il piano appena presentato al Parlamento segna un enorme passo in avanti rispetto ai documenti presentati fino a oggi a Bruxelles, ma non può certo da solo risolvere tutti i problemi, pur affrontando finalmente la questione delle riforme che segnalammo già quattro mesi fa come nodale sulle pagine di questo giornale. Il nuovo piano è certamente più strutturato, ha delle chiare finalità e introduce con forza un concetto centrale, quello della competitività, sia come obiettivo sistemico del Paese sia come modalità di attuazione del Pnrr stesso, che si orienta alla qualità della progettazione e alla competizione tra gli attori come criterio centrale di selezione dei progetti operativi e degli attuatori. Pur non potendo che apprezzare questa logica non possiamo non vederne i rischi a essa collegati.
Soprattutto per le aree meno sviluppate si è molto parlato delle risorse destinate al Mezzogiorno, discutendo sulla soglia raggiunta, il famoso 40% annunciato nel piano. La percentuale, pur migliorativa del 34% originario, non è quanto gli amministratori del Sud si attendevano, rinviando alle reintegrazioni del Fsc e ai programmi di potenziamento infrastrutturale il raggiungimento di quella soglia ventilata degli oltre 200 miliardi in dieci anni di nuove risorse per il Meridione. Nella speranza che tali impegni non vengano disattesi, credo che la principale preoccupazione che dovremmo affrontare è almeno di non perdere gli 80 miliardi attualmente stanziati.

Nel Pnrr vengono introdotte logiche di competizione, anche fra territori e amministrazioni (il bando sugli asili nido ne è un chiaro esempio); se tali logiche non vengono compensate con apposite riserve di fondi per le aree meridionali, si rischia che l’enorme debolezza dell’armatura amministrativa dei nostri enti si trasformi in un boomerang in termini di risorse disponibili e di progetti approvati. Il confronto che anche sul nostro territorio Regione e Comune dovrebbero mettere in campo con il Governo è proprio su queste tematiche: è impensabile immaginare, a questo punto, una revisione profonda del piano, anche dal punto di vista degli equilibri finanziari tra i territori; meglio concentrarsi su strumenti e struttura di attuazione del piano stesso.

È certamente vero che a oggi le amministrazioni non hanno un quadro definito degli interventi di cui saranno responsabili e che il criterio della competenza istituzionale lascia molte aree grigie, come ben sappiamo, che potranno essere chiarite solo in sede politica. Nel frattempo, però, sarebbe opportuno confrontarsi almeno su quali siano le funzioni di dettaglio attribuite agli attuatori, sull’applicazione degli strumenti competitivi per le azioni gestite a livello centrale e su quali garanzie vengono offerte per consentire il mantenimento degli impegni di riparto.

Contemporaneamente sarebbe necessario avviare un’azione di potenziamento importante delle strutture amministrative, con criteri nuovi rispetto al passato e un approccio orientato al reclutamento di personale di livello medio-alto e alto e con strumenti contrattuali innovativi che ne permettano la valorizzazione e il corretto inserimento.
Parafrasando Giovanni Falcone, «le idee camminano sulle gambe degli uomini» e il limite maggiore che le amministrazioni meridionali spesso denunciano è proprio nella qualità del loro tessuto organizzativo, spesso troppo condizionato dalle politiche di assunzione “generaliste” dei decenni scorsi. Serve uno scatto di coraggio e una visione differente che permetta di ridefinire completamente le strutture organizzative.

Altrimenti perderemo la principale partita degli ultimi 50 anni e, purtroppo, sia la Regione Campania che il Comune di Napoli (solo per citare i principali enti operanti sul nostro territorio) sono in questa condizione di grande difficoltà. La politica deve affrontare immediatamente questa sfida. Nelle condizioni attuali non saremmo in grado di competere con gli altri territori e non riusciremmo a realizzare se non una minima parte degli interventi assegnati, aumentando inevitabilmente il gap di sviluppo, in maniera probabilmente definitiva.