Dopo un’attesa messianica durata giorni, finalmente le prime cifre sul nuovo Piano nazionale di ripresa e resilienza gestito dal governo Draghi vengono alla luce. È ovvio che l’attesa è grande per le misure destinate a rilanciare l’economia nazionale, soprattutto per conoscere le correzioni apportate dall’ex governatore della Banca centrale europea al precedente documento che era stato elaborato dall’esecutivo Conte e che il leader di Italia Viva Matteo Renzi aveva duramente criticato. Stando alle prime indiscrezioni, il piano attiverà 221,5 miliardi di euro, di cui 191,5 finanziati con le risorse in arrivo da Bruxelles e 30 tratti dal fondo complementare.

Di queste risorse, 15,6 miliardi sono destinate alla sanità e puntano al rafforzamento della medicina territoriale e all’aggiornamento delle tecnologie, delle attrezzature e delle infrastrutture, oltre che alla digitalizzazione; 31,9 miliardi sono destinati all’istruzione e alla ricerca e altri 25,3 ai trasporti. La parte più consistente dei finanziamenti, pari a circa 57 miliardi, dovrebbe essere indirizzata verso investimenti per la cosiddetta rivoluzione green e la tanto decantata transizione ecologica. Il Next Generation EU (a cui si aggiungono 96 miliardi di euro provenienti dai Fondi di coesione) rappresenta un’occasione unica per aumentare la spesa in infrastrutture di mobilità per il Mezzogiorno.

Quello della carenza di questo tipo di infrastrutture è il tema determinante per una politica di sviluppo delle regioni meridionali. In questi ultimi venti anni, tra le due parti del Paese, la dotazione di infrastrutture di trasporto in rapporto alla popolazione è drasticamente peggiorata. I dati dell’ultimo rapporto Svimez rivelano la consistenza del divario: per le autostrade, l’indice medio (cioè il rapporto tra dotazione e popolazione) scende nel Mezzogiorno da 91,4 (1990) a 61,6 (2017), con la Sardegna che continua a non essere dotata di autostrade. Nonostante i miglioramenti intervenuti, il divario nella dotazione complessiva di reti ferroviarie del Mezzogiorno è ancora rilevante (l’indice è pari a 81) rispetto al Centro-Nord (109,9) a causa della ridotta diffusione della rete ad alta velocità, ma anche per l’arretratezza qualitativa delle reti ordinarie. Il Piano nazionale di ripresa e resilienza sembra puntare soprattutto sullo sviluppo delle reti ferroviarie, anche per la priorità accordata all’innovazione ecologica: dovrebbe essere potenziata, infatti, la linea tirrenica e adriatica da Nord a Sud; si prevede l’estensione delle linee di alta velocità al Sud, con la conclusione della direttrice Napoli-Bari, l’ulteriore incremento della linea Palermo-Catania-Messina e l’avvio delle linee Salerno-Reggio Calabria e Taranto-Potenza-Battipaglia. A livello regionale si punta, tra l’altro, allo sviluppo delle linee Bari-Bitritto, Rosarno-San Ferdinando e Benevento-Cancello.

Si tratta di progetti sicuramente positivi che aiuteranno il Mezzogiorno a ridurre il suo stato di marginalità geografica. Staremo a vedere se queste linee, una volta costruite, serviranno ancora una volta a trasportare merci verso il Sud e uomini verso il Nord, cioè se il Mezzogiorno conserverà il suo ruolo di mercato di sbocco delle merci prodotte altrove e di “serbatoio di uomini” per le parti più sviluppate dell’Europa. Nonostante i proclami ottimistici, infatti, c’è molto da fare ancora per il Mezzogiorno e non sembrano sciolti ancora i nodi più importanti: come saranno attuati questi investimenti mobilitando risorse umane e materiali locali? Qual è la strategia adottata per evitare le possibili infiltrazioni della criminalità organizzata senza rallentare all’infinito l’esecuzione dei lavori? Come s’intende scongiurare che le opere pubbliche restino inerti cattedrali nel deserto? Per ora i buoni propositi che emergono dal Piano nazionale di ripresa e resilienza delineato dal governo Draghi lasciano solo sperare nella svolta che i meridionali attendevano da anni: accontentiamoci di questo