Stati confusionali nelle aule parlamentari. Duelli sterili, autoreferenziali, puerili e incomprensibili fuori di qua, dove si confonde il dito (il coprifuoco) con la luna (il Pnrr), utili solo ad alzare bandiere che garriscono il tempo di uno sbadiglio. Dicono fonti Lega, mentre il leader Salvini raccoglie firme contro il coprifuoco deciso dal governo: «Anche noi dobbiamo portare i nostri crocifissi e altri orrori». Fonti Fratelli d’Italia, poco dopo che la leader Giorgia Meloni ha bocciato il Pnrr di Mario Draghi perché in continuità con quello di Conte: «Sbagliato attaccare Draghi e questo Piano». E infatti, quando è stato il momento di votare, Fratelli d’Italia ha optato per l’astensione.

Come lo spieghi agli italiani che non hai votato la più grande occasione di ripartenza di questo Paese? Ma il capolavoro della strumentalità e della brutta politica va in scena nel pomeriggio a Montecitorio: invece di iniziare a concentrarsi su come fare le riforme che sono fondamentali per la realizzazione del Piano, le energie dei parlamentari di maggioranza e minoranza si sono applicate sul tema del coprifuoco. Lollobrigida, il capogruppo di Fdi, ha presentato un ordine del giorno per chiedere di cancellarlo. Salvini, che deve evitare sorpassi a destra, s’è messo a raccogliere firme contro provvedimenti del suo stesso governo. Non contento a metà pomeriggio, mentre Draghi è in aula al Senato, ha convocato i frontman di Forza Italia Tajani e Ronzulli per decidere cosa e come votare sul coprifuoco.

Sorpresa: il compromesso è una risoluzione di maggioranza che impegna il governo a rivalutare gli orari del coprifuoco a metà maggio. Esattamente quello che Draghi ha già detto che farà «valutando con attenzione l’andamento delle curve del contagio e l’iter delle vaccinazioni». Ma è troppo importante per Salvini poter alzare una bandierina da sventolare sotto il naso di Giorgia Meloni. Morale della favola: la maggioranza si spacca. E la bandierina stavolta se la porta a casa Meloni. Succede infatti che gli ordini del giorno di Fratelli d’Italia a favore dell’abolizione del coprifuoco vengono entrambi respinti dall’aula della Camera. Ma Forza Italia e Lega, in maggioranza, non partecipano al voto. Pd e M5s li attaccano: «Non può esserci una maggioranza a la carte, che decide di stare dentro o fuori, che non affronta con coraggio e fiducia unita e coesa il difficile momento che stiamo attraversando» ha attaccato la capogruppo Debora Serracchiani.

Le scene da “asilo mariuccia” cui abbiamo assistito ieri raccontano due leader, Salvini e Meloni, con pochi e scarsi argomenti rispetto ad un governo che dovrebbe essere di unità nazionale e che sta cercando di portare a fondo le uniche due missioni che contano: vaccinare gli italiani e realizzare i progetti e, ancora di più, le riforme del Piano nazionale di ripresa e resilienza. Mario Draghi incassa due larghe maggioranze, a fine mattinata alla Camera (442 Sì, 19 no, Fdi astenuti) e a tarda sera al Senato, e un via libera motivato e convinto alle 270 pagine del Pnrr, il Recovery italiano. Nella replica alla Camera il premier si è «dispiaciuto per i tempi stretti della discussione in Parlamento» e ha spiegato che la scadenza del 30 aprile (data della consegna a Bruxelles) «non è mediatica» ma finalizzata «a fare presto per avere entro l’estate la prima tranche di finanziamenti», 24 miliardi.

Draghi l’ha spiegata così: «La Commissione andrà sui mercati a fare la provvista per finanziare questo fondo intorno a maggio-giugno. Poi la finestra si chiuderà momentaneamente per l’estate. Quindi se il Piano viene presentato subito si ha accesso ad una quota della prima provvista. Diversamente si va più avanti». Fine della discussione. Che il premier ha rilanciato in altro modo: il Piano ha già fatto propri «molti contributi del Parlamento» e «il vostro contributo è solo all’inizio visto che le riforme saranno adottate con provvedimenti e strumenti legislativi in cui il Parlamento avrà un ruolo decisivo». Punto per punto ha toccato tutti i temi sollevati nella discussione generale, ieri mattina alla Camera e ieri sera al Senato. Ha rassicurato sul «ruolo strategico degli enti locali che dovranno gestire la realizzazione di progetti per 90 miliardi».

E poi i progetti per il sud, a favore del lavoro femminile e dei più giovani, per lo sport e la ricerca (toccante l’intervento della senatrice a vita Elena Cattaneo), l’alta velocità (“quella vera”), la digitalizzazione del paese che significa dare pari opportunità a tutti e ovunque. Ha strappato applausi Draghi, quando ho ripetuto l’appello «allo spirito repubblicano» e ha dato «fiducia agli italiani e al mio popolo». E ha strappato sorrisi quando si è scusato per l’uso eccessivo di termini inglesi, per due volte ha detto, “cari deputati”, mentre davanti aveva i senatori («ah già scusate, siamo al Senato») e quando ha interrotto un tentativo di azione di disturbo da parte di La Russa (Fdi) e come nulla fosse è andato avanti, «eravamo arrivati allo sport, ripartiamo da lì». Una risata può più di tante parole. Tra oggi e domani Draghi poterà il Pnrr in Consiglio dei ministri.

Il problema è che il premier arriva all’appuntamento più importante dopo due mesi e mezzo di governo con la maggioranza divisa e Fratelli d’Italia che alza sempre di più la posta perché, nei fatti, sta perdendo uno dopo l’altro gli argomenti per giustificare il suo stare all’opposizione. Il dibattito sul Recovery intrecciato al finto dibattito sul coprifuoco ieri è stata la rappresentazione plastica della strumentalità delle divisioni. Anche interne agli stessi partiti. Alla Camera Giorgia Meloni ha saputo trovare solo tre argomenti per dire no al Pnrr di Draghi: il Parlamento è stato “scavalcato” per “nascondere una maggioranza litigiosa”; ancora una volta “non sono state accolte le nostre proposte”; il Piano è “un copia e incolla di quello di Conte”.

Un intervento tutto sommato debole. Senza il merito. Che ha lasciato lo spazio al capogruppo della Lega Riccardo Molinari di affondare le unghie nell’orgoglio di Fratelli d’Italia. «Onorevole Meloni, siamo pagati abbastanza per poter leggere 270 pagine in 48 ore se necessario. Quindi, se lei avesse letto il Piano avrebbe trovato mille e un motivo di discontinuità rispetto alla versione di Conte: ci sono le grandi opere prima viste come il peccato e ora come volano di ripartenza; c’è la riforma della giustizia che tagli i tempi dei processi invece di allungare la prescrizione…». È andato avanti dieci minuti Molinari, in un crescendo di applausi che devono aver suggerito a Fratelli d’Italia l’astensione invece del voto contrario. E di passare all’attacco nel pomeriggio con l’ordine del giorno sul coprifuoco usato come una lancia per dividere la maggioranza.

Ora il punto è che questo duello rusticano Meloni-Salvini non piace alla Lega di governo. E prima fra tutte alla delegazione di ministri già costretti una settimana fa a non votare il decreto aperture. Giorgetti ha certamente apprezzato la dichiarazione di Salvini ieri in aula al Senato. «Grazie Presidente, la sua telefonata a Bruxelles ha restituito orgoglio agli italiani» ha esordito il segretario leghista. «Abbiamo scelto di mettere l’Italia prima del partito e siamo entrati in questa maggioranza. Siamo alleati fedeli e se qualcuno pensa di buttarci fuori, si sbaglia di grosso». Ma Giorgetti non avrà apprezzato l’inseguimento a suon di ordini del giorno sul coprifuoco andato in scena ieri pomeriggio. Così come parti di Fratelli d’Italia stanno osservando in modo scettico e dubbioso l’ostinata critica dei loro vertici a Draghi e alle sue decisioni. Ieri il duello rusticano Salvini-Meloni ha trascinato la maggioranza su fronti opposti. Ma Salvini ha tenuto con sé Forza Italia e ha tolto argomenti a chi tra Pd e 5 Stelle ha già scommesso su un Draghi 2 con una maggioranza Ursula, dentro Forza Italia e fuori la Lega.

È un momento difficile. Draghi lo aveva messo in conto. E non pare preoccupato. Matteo Renzi, affermando che «il Piano è la risposta migliore a chi ancora si chiede se ne valeva la pena (buttare giù Conte e aprire la strada a Draghi, ndr) lo ha incoraggiato «al gusto del futuro e del coraggio, più forte di chi in questi anni ha pensato alla cultura della rendita e alla paura del domani». Il premier ha replicato alle critiche in modo asciutto e semplice: «Saremo noi i responsabili del successo o dell’insuccesso di questo piano». Nella lista di nemici, oltre a corruzione, stupidità e interessi costituiti, ha aggiunto “l’inerzia istituzionale”: «I soldi non saranno mai abbastanza se non li sapremo usare». Ma sa, Draghi, che è meglio non perdere tempo per mettere in sicurezza il Piano e le riforme. A fine a luglio, quando scatterà il semestre bianco, i partiti cominceranno a sentire l’odore delle urne.

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Giornalista originaria di Firenze laureata in letteratura italiana con 110 e lode. Vent'anni a Repubblica, nove a L'Unità.