Basterebbe il colpo d’occhio finale per capire che quello che viene detto e rilanciato fuori da qui, dall’aula della Camera, è solo propaganda. La scena finale, infatti, fotografa Mario Draghi in piedi al banco del governo, con gli occhi attenti sull’aula che gli sta tributando una standing ovation, da destra a sinistra, dai banchi della Lega a quelli del Pd e Leu. Un applauso che scatta, pur con le limitazioni alle presenze in aula causa Covid, sulla forza delle ultime parole di un discorso che in 44 minuti ha spiegato senza fronzoli, con stile asciutto e senza inutili giri di parole, l’Italia dei prossimi anni.

«Sono certo – ha concluso Draghi – che riusciremo ad attuare questo Piano perché l’onestà, l’intelligenza, il gusto del futuro prevarranno sulla corruzione, la stupidità, gli interessi costituiti». Tutto questo – ha sottolineato – «non è sconsiderato ottimismo ma fiducia negli Italiani, nel mio popolo, nella nostra capacità di lavorare insieme quando l’emergenza ci chiama alla solidarietà, alla responsabilità». È qui che scatta l’applauso, più lungo, più bello e liberatorio. Ma anche quello che impegna tutte le forze politiche che lo hanno tributato a lavorare d’ora in poi a testa bassa in una sola direzione. Resta deluso e a mani vuote chi cercava nella presentazione al Parlamento del Recovery plan italiano firmato Mario Draghi gli indizi di una maggioranza “Ursula” che nel breve periodo avrebbe fatto fuori la Lega e assorbito Forza Italia. La stessa maggioranza Popolari, Socialisti, Verdi e 5 Stelle che nel luglio 2019 ha portato all’elezione della presidente Ursula von der Leyen.

Come dimostra quella standing ovation e come confermano gli interventi di deputati e deputate della Lega in aula, «noi siamo convintamente parte di questa maggioranza e faremo la nostra parte perché fuori da qui c’è un paese che chiede di ripartire». Intanto, fuori da qui, Matteo Salvini continua a raccogliere firme contro il coprifuoco alle 22 e a bombardare la sua stessa maggioranza alzando ogni giorno l’asticella delle richieste, ponendo sempre nuove domande senza mai aspettare le risposte. Delle due l’una: se è un gioco delle parti, essere di lotta e di governo per tenere testa ai consensi in crescita di Fratelli d’Italia, è talmente smaccato che rischia di diventare controproducente; se invece Salvini è convinto di quello che fa, è urgente che si chiarisca le idee con i suoi.

Draghi è arrivato a questo appuntamento – la presentazione del Pnrr al Parlamento, il secondo pilastro della sua mission insieme alla vaccinazione del paese – tra tensioni e sgambetti. Tra le pressioni sul capitolo riaperture e i malumori per chi ha visto cancellate le proprie aspettative dalle pagine del Piano. La tempistica non ha giocato a suo favore: da una parte la volontà di consegnare a Bruxelles il dossier entro il 30 aprile perché la puntualità è parte dell’affidabilità; dall’altra il tentativo difficile di tenere insieme una maggioranza così variegata con Pd e 5 Stelle che hanno subito colto nei quotidiani attacchi di Salvini l’opportunità di spingere la Lega fuori dalla maggioranza e intestarsi l’azione di governo. Un equilibro molto difficile che sabato ha conosciuto il suo colmo quando per tutta la giornata Bruxelles ha frenato il Piano chiedendo garanzie sulle riforme strutturali che sono la chiave del successo della realizzazione dei progetti per oltre 230 miliardi. Dubbi legittimi, quelli di Bruxelles, costretta ad osservare gli incomprensibili attacchi di una parte della maggioranza, la Lega, contro il suo stesso governo. A quei dubbi Draghi ha risposto con l’unica arma che aveva: «Garantisco io», ha detto il premier alla presidente von der Leyen. Garanzie che a questo punto hanno a che fare con la sua permanenza alla guida della politica di questo paese. O a palazzo Chigi. O al Quirinale.

La bozza del Piano è stata consegnata in Parlamento domenica 25 aprile, poco dopo le 14. Un modo molto simbolico di festeggiare la Liberazione. Ieri, poco prima delle sue comunicazioni, Palazzo Chigi ha consegnato una nuova bozza. Questa volta definitiva. Un tempo ritenuto non congruo da Fratelli d’Italia e dai sottogruppi di opposizione Alternativa c’è e Sinistra Italiana. «Ci deve essere un limite all’indecenza, il Parlamento viene costantemente scavalcato», hanno denunciato i gruppi di opposizione chiedendo il rinvio del voto previsto oggi, a fine mattinata alla Camera e in serata al Senato. Il presidente della Camera Roberto Fico ha così convocato una nuova conferenza dei capigruppo per valutare la richiesta che è stata respinta da tutti gli altri gruppi. Un primo ostacolo è stato così rimosso a maggioranza. In realtà sono dieci giorni che il ministro dell’Economia, Daniele Franco condivide e analizza i contenuti del Piano in riunioni bilaterali con tutti i gruppi parlamentari, i singoli ministri e gli enti locali.

In 44 minuti, interrotti da undici applausi, Draghi ha spiegato gli obiettivi del Pnrr sviluppati in un dossier di 270 pagine rivestiti da una copertina blu/azzurra che raffigura stilizzati i monumenti del Belpaese e porta un sottotitolo nuovo –“Italia domani” – che nasce tra le stelle della bandiera europea e sottolineati dal tricolore italiano. «Sbaglieremmo tutti – ha esordito il premier – a pensare che il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, pur nella sua storica importanza, sia solo un insieme di progetti tanto necessari quanto ambiziosi, di numeri, obiettivi, scadenze. Vi proporrei di leggerlo anche in un altro modo. Metteteci dentro le vite degli italiani, le nostre ma soprattutto quelle dei giovani, delle donne, dei cittadini che verranno. Le attese di chi più ha sofferto gli effetti devastanti della pandemia». È certamente un modo diverso di leggere questo insieme di progetti finalmente spiegati, come ha riconosciuto la deputata Silvia Fregolent (Italia viva) «con una visione di paese strutturata e organica». Italia viva è il partito che più di tutti può rivendicare la presenza di uno come Draghi alla guida del paese in questo momento.

«Nell’insieme dei programmi che oggi presento – ha continuato il premier – c’è anche e soprattutto il destino del Paese. La misura di quello che sarà il suo ruolo nella comunità internazionale. La sua credibilità e reputazione come fondatore dell’Unione europea e protagonista del mondo occidentale». Uomo di numeri e poche parole, Draghi sta dimostrando nel tempo anche il piacere della parola – per quanto sempre poche però precise – e della citazione. Ha citato De Gasperi, «uno dei padri della nostra Repubblica e all’indomani della celebrazione del 25 aprile»: «Vero è – scriveva nel 1943 – che il funzionamento della democrazia economica esige disinteresse, come quello della democrazia politica suppone la virtù del carattere. L’opera di rinnovamento fallirà, se in tutte le categorie, in tutti i centri non sorgeranno degli uomini disinteressati pronti a faticare e a sacrificarsi per il bene comune».

Ha indugiato, come era necessario, su obiettivi, progetti di investimento e missioni, la digitalizzazione, le infrastrutture, scuole, ferrovie, il trasporto pubblico, la ricerca, il turismo, lo sport, il lavoro femminile, il sud e la lotta alle disuguaglianze. Un nuovo sistema sanitario, diffuso in tutto il territorio, perché «dopo le sofferenze e le paure di questi mesi di pandemia non possiamo dimenticarci di quello che è stato». Ha spiegato che in realtà il Piano va oltre i fondi europei del Next generation Eu. In sintesi, sono tre le linee di finanziamento per realizzare i progetti: i 192 miliardi europei; il Fondo complementare di 30 miliardi «che avrà le stesse regole del Pnrr» con cui saranno finanziati i progetti che non possono rientrare nel Pnrr; un terzo fondo per le opere specifiche a cui saranno finalizzati soldi già stanziati e gli altri del bilancio europeo.

Ma soprattutto Draghi ha indugiato sulle riforme strutturali senza le quali tutti i progetti avranno scarsa possibilità di essere realizzati. La riforma della giustizia, civile e penale con «l’obiettivo di ridurre i tempi del processo del 40% nel civile e del 25% nel penale». La riforma della Pubblica amministrazione su cui pesano «la stratificazione normativa, la limitata e diseguale digitalizzazione; lo scarso investimento sul capitale umano dei dipendenti, l’assenza di ricambio generazionale e di aggiornamento delle competenze». E poi la riforma del fisco ma soprattutto della concorrenza. «Dobbiamo impedire che i fondi che ci accingiamo ad investire finiscano soltanto ai monopolisti».

Draghi ha voluto «ringraziare il Parlamento per l’impulso politico» e s’è detto, appunto, «certo che riusciremo ad attuare questo Piano». Non per “sconsiderato ottimismo” ma per «fiducia negli Italiani, nel mio popolo, nella nostra capacità di lavorare insieme quando l’emergenza ci chiama alla solidarietà, alla responsabilità». Parole forti, chiare, che toccano l’identità e l’orgoglio nazionale. Un appello allo “spirito repubblicano” che ha fatto scattare la standing ovation. In calendario ci sono ben 33 interventi. La replica è attesa stamani (ore 11). Poi il voto. Nel pomeriggio si replica al Senato. E chissà cosa dirà Salvini.

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Giornalista originaria di Firenze laureata in letteratura italiana con 110 e lode. Vent'anni a Repubblica, nove a L'Unità.