Sabato si ricomincia. Il presidente serbo Aleksandar Vučić e il primo ministro kosovaro Albin Kurti riprendono il loro dialogo con l’Unione europea, anche se separati, la prima volta dopo l’attacco terroristico serbo in Kosovo, grazie alla pressione internazionale di Unione europea e Stati Uniti. La ripresa si svolgerà in un formato diverso: i consiglieri di politica estera di Francia, Germania, Italia, Spagna e Regno Unito insieme a Miroslav Lajcak da parte europea si incontreranno prima con il presidente serbo Aleksandar Vučić, e poi con il primo ministro kosovaro Albin Kurti, separatamente.

Il clima è teso, le speranze di poter trovare una soluzione concreta non sono altissime. I leader europei sono spaccati, con la Francia che chiaramente tende a voler mettere sotto pressione maggiormente il Kosovo, la Germania che invece in questi mesi ha dimostrato una determinata fermezza nei confronti della Serbia. Insomma, come sempre manca un approccio comune. E senza approccio comune è difficile smuovere lo status quo. Ci si comincia a chiedere se l’Unione europea abbia forse in mente proprio il mantenimento dello status quo.

Comunque, la decisione di riprendere il dialogo è evidentemente stata dibattuta durante il summit di lunedì e martedì a Tirana, che fa parte del processo di Berlino (uno dei format più famosi sui Balcani). Il presidente Vučić mancava, perché impegnato in Cina insieme a Vladimir Putin e a Viktor Orban. Molto chiaro quindi il messaggio che manda all’Occidente.
Ad ogni modo, durante il vertice a Tirana, l’interprete che traduceva Emmanuel Macron, presidente francese, ha commesso una piccola gaffe, perché ha tradotto in modo sbagliato il senso di quello che voleva dire Macron, dicendo che la liberalizzazione dei visti sarebbe stata sospesa se il Kosovo non si fosse dimostrato più impegnato nel dialogo. Dichiarazione che ha subito scatenato l’ira della popolazione kosovara ma anche della ministra degli esteri kosovara, che ha twittato una foto di una bandiera francese con la scritta “voilà”. Un messaggio abbastanza evidente. Poi c’è stato il chiarimento di quello che Emmanuel Macron ha effettivamente detto, ma il messaggio di fondo era chiaro: era un avvertimento per il governo kosovaro che, se blocca l’Associazione delle Municipalità Serbe, la Francia è pronta a cercare di convincere altri stati a bloccare la liberalizzazione dei visti tra Kosovo e UE. In verità, questo è comunque impossibile, perché ormai essa è stata approvata sia dal Parlamento europeo che dal Consiglio europeo ed entra in vigore il 1 gennaio 2024. Sono quindi minacce a vuoto. È l’ennesima dimostrazione di una politica del dialogo fallimentare. Aumentare le pressioni solo sul Kosovo, ma non sulla Serbia.

Ci sono però anche segnali incoraggianti per un nuovo sviluppo del dialogo tra Kosovo e Serbia. Giovedì il Parlamento europeo ha votato una risoluzione sulle recenti tensioni tra i due paesi. Risoluzione che, finalmente, tiene conto di tutti i risvolti degli ultimi mesi: chiede di rimuovere le sanzioni dal Kosovo, chiede, appurata la complicità del governo serbo nell’attentato in Kosovo, di metterle alla Serbia, e chiede ai 5 stati membri dell’UE che non hanno ancora riconosciuto il Kosovo di riconoscerlo. Oltre ciò, ci sono dei passaggi molto interessanti nella risoluzione che riconoscono la posizione del governo kosovaro. Rimane la richiesta però di creare l’Associazione delle Municipalità serbe, ma di farlo in linea con la costituzione kosovara, cosa che potrebbe essere accettabile anche per Pristina. Ma, ancora più importante, gli eurodeputati chiedono un cambiamento di approccio, una mediazione neutrale davvero, non come nei mesi scorsi, e soprattutto chiedono che la Serbia smetta la sua campagna contro il riconoscimento del Kosovo.

Il fatto che il Parlamento europeo abbia lanciato un segnale così chiaro e forte è importante. Perché significa che si riconoscono gli sbagli e si prova a rimediare. Rimane aperta la domanda se la Serbia cambierà approccio e cercherà di dialogare per davvero, oppure continuerà la sua battaglia contro il riconoscimento del Kosovo. Se la Serbia continuerà a bloccare, sarà impossibile arrivare a un risultato concreto. Serve qualcosa, per permettere al Kosovo di accettare il compromesso della creazione dell’Associazione municipale serba. Serve principalmente un impegno della Serbia per riconoscere almeno de facto il Kosovo. Solo così questo dialogo potrà portare ad un risultato. Non si può pretendere che sia solo una parte a doversi impegnare, altrimenti diventa un monologo.

Il fatto che ci sia questo incontro sabato, e che si cerchi di trovare terreno fertile per un compromesso, è positivo perché solo la diplomazia può cambiare qualcosa. Ma, come gli eurodeputati hanno giustamente ricordato, per la mediazione serve un atteggiamento di equidistanza, e neutralità. Non basta pretendere che le due parti si parlino, e fare finta che determinate violenze non siano successe. Bisogna riconoscere gli eventi accaduti, metterli al centro, analizzarli, discuterne. Capirne le ragioni. Arrivare al fondo delle cose. E solo allora decidere quale delle due parti deve impegnarsi in quel determinato ambito. Solo in questo modo si potrà arrivare a un compromesso.

Ma la sovranità del Kosovo deve rimanere al centro. È uno stato indipendente, anche se la Serbia ancora lo nega. E l’Unione europea, che ha aperto al Kosovo la prospettiva di adesione, ha il dovere di assicurarsi che la sua sovranità sia rispettata.

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Nata a Trento, laureata in Scienze Politiche all’Universitá di Innsbruck, ho due master in Studi Europei (Freie Universität Berlin e College of Europe Natolin) con una specializzazione in Storia europea e una tesi di laurea sui crimini di guerra ed elaborazione del passato in Germania e in Bosnia ed Erzegovina. Sono appassionata dei Balcani e della Bosnia ed Erzegovina in particolare, dove ho vissuto sei mesi e anche imparato il bosniaco.