L’attentato ai Mattei e il successivo depistaggio
Rogo di Primavalle, pagina nera della sinistra
Tra le immagini degli anni 70 nessuna registra il versante atroce di quell’epoca più della foto scattata la notte del 16 aprile 1973, poco dopo le 3,dal fotografo di nera Antonio Monforte di fronte a una casa popolare in via Bernardo da Bibbiena 33 nel quartiere di Primavalle, periferia di Roma. È l’istantanea di un ragazzo di 22 anni, Virgilio Mattei, militante dei Volontari nazionali del Msi, affacciato alla finestra del terzo piano mentre l’appartamento alle sue spalle brucia.
Il volto del ragazzo è già annerito e deformato dall’incendio. Non si butta, come lo esorta a fare la folla radunatasi di fronte alla casa in fiamme, perché non vuole abbandonare il fratello di 8 anni Stefano. Quando il bimbo si accascia alle sue spalle ci prova ma ormai è troppo tardi. Li ritroveranno carbonizzati e abbracciati. L’appartamento è di Mario Mattei, 47 anni, ex netturbino, ex militare della Repubblica di Salò, per tre anni prigioniero di guerra negli Usa, segretario della sezione del Msi di Primavalle “Giarabub”. È una casa piccola, meno di 50 mq, e ci abitano in 8. Quando l’incendio è divampato, partendo dalla porta principale, Mattei ha provato a spegnerlo con due bottiglie di schiumogeno ed è riuscito a creare un varco attraverso il quale è riuscita a passare la moglie Annamaria con due figli, Antonella e Giampaolo, di 9 e 3 anni. Ustionato, Mattei si butta dal balcone e da terra riesce a prendere la figlia Lucia, 15 anni, attutendo la caduta.
Un’altra figlia, Silvia, 19 anni, si salva saltando dalla veranda della cucina: i fili tesi per asciugare il bucato al piano di sotto rallentano il salto, se la cava con qualche frattura. Restano Virgilio e Stefano, imprigionati dalle fiamme, e non si salvano. Muoiono bruciati sotto gli occhi di decine di persone. Sembra un incidente fatale, invece si rivela subito un attentato. Di fronte alla porta del palazzo c’è un cartello: “Brigata Tanas. Guerra di classe. Morte ai fascisti. La sede del Msi, Mattei e Schiavoncino colpiti dalla giustizia proletaria”. Tanas è un operaio ucciso dalla polizia nel 1947. Schiavoncino, come si chiama davvero, il vicesegretario della sezione “Giarabub”.
La Brigata Tanas è composta da militanti della sezione Primavalle di Potere operaio che agivano però senza che l’organizzazione ne fosse al corrente. Uno di loro, Manlio Grillo, da Managua dove ancora vive, ha dichiarato una quindicina d’anni fa che il gruppo era in contatto con le Br, era “in prova”, ma la dichiarazione è dubbia dal momento che la colonna romana delle Br non si formerà prima del 1975. Non tutto è chiaro nella dinamica della tragedia ma si può dire con certezza che gli attentatori non intendevano uccidere. Lo stesso Grillo rimase a fare il palo in macchina, altri due attentatori, Marino Clavo e Achille Lollo, trasportarono l’ordigno artigianale di fronte alla porta di casa Mattei.
Era una “Lilli”, come si definiva all’epoca: una tanica con dentro dai 2 ai 10 litri di benzina e un combinato di acido solforico, diserbante e zucchero dentro due preservativi come innesco. Secondo la versione di Lollo, in un’intervista del 2005, il preservativo si ruppe e i due della Tanas fuggirono ma senza spargere la benzina sotto la porta dell’appartamento. Quella benzina però fu sparsa e prese fuoco, determinando l’incendio fatale.
Essendo accertato che l’azione doveva essere solo dimostrativa non è ancora chiaro come siano andate le cose: in compenso è evidente la follia di chi, pur senza aver messo nel conto la tragedia, pensava di far esplodere una Lilli di fronte a un appartamento minuscolo con 8 persone tra cui due bambini assiepate dentro, nel cuore della notte. Nella stessa intervista Lollo rivelò anche che nel Tanas e nell’ideazione dell’attentato erano coinvolti altri tre militanti di Potere operaio: Paolo Gaeta, Elisabetta Lecco e Diana Perrone, figlia e nipote degli allori proprietari del Messaggero che in un primo momento aveva fornito un falso alibi poi ritrattato.
L’atrocità del rogo di Primavalle è doppia: non solo l’omicidio dei due fratelli ma anche la campagna “innocentista” che seguì e alla quale parteciparono, in buona fede, figure come Umberto Terracini, Riccardo Lombardi, Franca Rame. Le indagini dirette dal procuratore Domenico Sica si indirizzarono subito verso il gruppetto Tanas. Con i dirigenti di Potere operaio i responsabili dell’attentato negarono però ogni responsabilità. Il futuro brigatista Valerio Morucci, allora responsabile della struttura clandestina del gruppo, non si fidò. Svolse un’indagine personale, si convinse della colpevolezza dei militanti: convocò Clavo e minacciandolo con la pistola carica gli estorse la verità. Morucci considerò una soluzione estrema: l’eliminazione degli attentatori. Il leader del gruppo, Franco Piperno, lo fermò e la decisione fu invece quella di far espatriare Clavo e Grillo, mentre Lollo fu arrestato già il 18 aprile.
Ma Po non si limitò a questo: avviò una campagna di controinformazione, in realtà di vero e proprio depistaggio, con la pubblicazione anche di un libro, Primavalle: incendio a porte chiuse, sostenendo la tesi che l’attentato fosse di matrice neofascista, maturato in uno scontro interno al Msi tra i moderati come Mario Mattei e i falchi. Quella campagna bugiarda coinvolse decine di migliaia di persone e non solo di primo pelo: giornalisti, intellettuali, politici, addirittura un padre della patria come Terracini, tutti sinceramente convinti che un delitto così efferato potesse essere solo di matrice fascista, persino se le vittime erano proprio “i fascisti”. Molto più della campagna contro il commissario Calabresi, che aveva una sua origine nelle menzogne a raffica sulla morte di Pino Pinelli, la campagna su Primavalle dovrebbe restare come monito permanente contro l’ottusità indotta dal fanatismo ideologico.
Il processo per strage si aprì il 24 febbraio 1975 e le prime udienze furono accompagnate da scontri continui tra neofascisti e militanti di estrema sinistra, nel corso dei quali, il 28 febbraio, fu ucciso a rivoltellate lo studente greco e missino Mikis Mantakas. Gli imputati vennero assolti ma la vicenda giudiziaria rimase tra le più confuse: la corte d’appello annullò il processo perché uno dei giudici popolari era affetto da “sindrome neuroastenica di tipo depressivo”, la Cassazione annullò l’annullamento e dispose un processo d’appello bis che si concluse con la condanna dei tre a 18 anni non per strage ma per incendio doloso e duplice omicidio colposo.
Lollo, scarcerato dopo la prima sentenza, era nel frattempo riparato in Brasile con l’aiuto di Dario Fo e Franca Rame, tra i più attivi nella campagna innocentista. Rientrato in Italia dopo l’estinzione della pena nel 2003, è morto a Trevignano due anni fa. Anche Marino Clavo, mai rimpatriato, è morto qualche anno fa ma la sua scomparsa, a differenza di quella di Lollo, è passata sotto silenzio. Nel 2010 Giampaolo Mattei e Rina Zappelli, madre di Valerio Verbano, ucciso sotto gli occhi dei genitori dai neofascisti nel 1980 si sono incontrati e abbracciati. Tra i tanti episodi di quell’epoca è uno di quelli che meno dovrebbe essere dimenticato. Ricorda che anche l’antifascismo può essere solo barbarie.
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