Da Neymar a Koulibaly, da Benzema a Mahrez, fino a Roberto Mancini – annunciato ieri come nuovo commissario tecnico della nazionale – la parte del leone sul calciomercato 2023 l’ha fatto l’Arabia Saudita. Che si è assicurata, a suon di spese insostenibili ormai per la stragrande maggioranza dei club europei, i colpi più importanti. E non solo di giocatori a fine carriera. Sono lontani i tempi in cui in campioni di mezzo mondo volevano venire a giocare in Serie A. Oggi il nostro calcio langue per la sua incapacità di aprirsi alle nuove sfide e resta ostaggio di logiche che impediscono ai diritti televisivi di avere un mercato all’altezza, mentre le società chiedono al governo (che gliele concede) risorse dal bilancio dello Stato. Eppure, nonostante un mercato abbastanza povero di nomi e milioni, il colpo dell’estate lo ha messo a segno la Roma, ponendo fine alla telenovela, durata alcuni mesi, relativa al destino di un top player come Romelu Lukaku, soffiato dai Friedkin a Inter e Juve. Dopo la burrascosa storia con l’Inter, che lo ha portato ad essere prima amatissimo, grazie a due stagioni da record – eguagliando le reti di Ronaldo il fenomeno il primo anno, e regalando lo scudetto nel 2021 – e poi odiato quando è tornato al Chelsea, per poi rimpiangere Milano e fare marcia indietro.

Ma non è stata più lo stessa cosa e lo stesso giocatore: una stagione tra luci e ombre, con l’allenatore che gli ha spesso preferito Dzeko e gli errori nella finale di Champions League. E come se non bastasse, la lunga tentazione del passaggio alla rivale Juventus, quasi a far dispetto ai tifosi nerazzurri che non lo amavano più. Ma dopo mesi di rumors e trattative, dopo aver rifiutato le sirene arabe, dopo lunghe settimane da separato in casa al Chelsea di Pochettino, che lo ha fatto prima allenare da solo e poi con la primavera, la svolta improvvisa. Big Rom ha scelto Big Roma. Ha scelto ancora l’Italia, per costruire il suo riscatto. Ha scelto di tornare nelle mani di José Mourinho che lo ha già allenato nel Chelsea e nel Manchester United, di cui ha detto: “lui mi ha compreso sia come uomo sia come persona. All’inizio non mi aveva capito, perché ero un giovane ragazzo e non conosceva il background della mia vita. Ora invece lo conosce, sa l’uomo che sono, gli sarò sempre grato perché è stato il mio sogno da bambino essere allenato da lui. Ognuno ha il suo rapporto particolare con Mourinho. Ogni tanto facciamo a testate, ma lo adoro. E penso che mi adori anche lui”.

E non è un mistero per nessuno che la videochiamata dello Special One è stata decisiva per Lukaku, per farlo sentire di nuovo importante, di nuovo decisivo, di nuovo al centro di un progetto e di una sfida. Una voglia di riscatto che lo ha spinto, proprio lui dipinto da tanti detrattori come avido e interessato solo ai soldi, a decidere una significativa riduzione di stipendio, di quasi 5 milioni di euro, per cogliere la chance di ripartire proprio da Roma. D’altronde la voglia di riscatto è il motore dell’intera esistenza di Lukaku. Nato ad Anversa da una famiglia congolese, nonostante una onesta carriera del padre da calciatore su palcoscenici minori, ha conosciuto una infanzia di povertà. E sin da bambino ha deciso che il calcio doveva essere il suo ascensore sociale, ancor prima che una passione.

“Ricordo il momento esatto in cui ho capito che eravamo al verde. Tornavo a casa per pranzo durante la nostra pausa a scuola. Mia mamma aveva sempre la stessa cosa sul menu: pane e latte. Quando sei un bambino neanche ci pensi, ma immagino che fosse quello che potevamo permetterci. Poi un giorno sono tornato a casa, sono entrato in cucina e ho visto mia mamma al frigorifero con la scatola del latte come al solito. Ma questa volta stava mescolando qualcosa, lo stava agitando. Poi mi ha portato il pranzo e sorrideva come se fosse tutto a posto. Ma io ho capito subito cosa stava succedendo. Stava mescolando l’acqua con il latte. Non avevamo abbastanza soldi per farcelo durare tutta la settimana. Non eravamo poveri, peggio. Ho fatto una promessa a me stesso, sapevo esattamente cosa dovevo fare e cosa avrei fatto. Un giorno tornai a casa da scuola e trovai mia mamma in lacrime. Così alla fine le dissi: ‘Mamma, vedrai che cambierà. Giocherò a calcio nell’Anderlecht e succederà presto. Staremo bene. Non dovrai più preoccuparti’. Avevo sei anni” ha raccontato in un’intervista.

Quella promessa Romelu l’ha mantenuta. Come molte altre sul campo. Ora ne ha una nuova da fare. Quella al Presidente Friedkin, che come già fatto per Mourinho e Dybala è andato a prenderlo personalmente, alla guida del suo jet privato, per portalo nella Capitale. E quella a una piazza pazza e passionale oltre ogni ragionevolezza. Ai bambini con la sciarpa giallorossa che già scandiscono il suo nome nei cori. Ai cinquemila tifosi presenti fisicamente all’aeroporto e ai 45mila (record di sempre) che hanno tracciato online il volo per Ciampino. Nella speranza di ripetere il 2001, quando l’arrivo di un altro bomber come Gabriel Batistuta consentì alla Roma di conquistare la vetta del calcio italiano. A quelli che hanno già realizzato murales in città con il suo ritratto. Ad una città che ha, lei per prima, voglia di riscatto e di tornare a sognare a occhi aperti. A cosa serve, altrimenti, il calcio? Benvenuto Romelu!