Il cielo, questa volta, l’ha davvero toccato con un dito. Un salto da due metri e 36 centimetri, una misura che gli è valsa la medaglia d’oro ai Mondiali di atletica in corso a Budapest e che, in un sol colpo, ha spazzato via le fatiche e i dubbi delle qualificazioni.

Gianmarco Tamberi, in Ungheria, è volato più in alto di tutti. Prendendo in prestito il titolo del noto film di John Landis, infatti, non c’è stato bisogno di “una poltrona per due” come fu alle ultime Olimpiadi. Il passaggio sopra l’asticella che gli ha regalato il gradino più alto del podio è giunto grazie a un errore in meno rispetto allo statunitense Juvaughn Harrison, che ha chiuso al secondo posto con la medesima misura dell’azzurro nato a Civitanova Marche, bissando peraltro il suo personale record ottenuto nel 2021. Al terzo posto, invece, s’è piazzato Mutaz Essa Barshim, ossia l’atleta del Qatar con il quale il Gimbo nazionale aveva condiviso l’oro olimpico di Tokyo 2021. Era l’1 agosto di due anni fa e, in quell’occasione, i due duellarono senza errori fino ai 2,37 metri, fallendo invece per tre volte a testa l’assalto alla successiva misura, i 2,39. A quel punto, la scelta. Proseguire con una serie a oltranza per stabilire chi fosse il migliore tra i due duellanti, oppure scegliere la strada della vittoria congiunta. A proporre questa seconda via fu il qatariota; ad abbracciarla Tamberi, amico del suo avversario e pronto a dividere la medaglia con un altista capace nel 2014 di saltare fino a 2,43 metri, arrivando dunque a -2 centimetri dal re indiscusso della disciplina, il cubano Javier Sotomayor.

Nella bacheca di Tamberi, in effetti, il successo iridato era l’unico a mancare. All’aperto, infatti, non soltanto aveva vinto le Olimpiadi della rinascita dopo l’infortunio che ne aveva pregiudicato la partecipazione a Rio 2016, ma anche due volte gli Europei; perfino al coperto non è mai stato a guardare, con gli ori indoor a Mondiali ed Europei a raccontare la forza di un atleta capace di cambiare guida tecnica proprio all’apice della sua carriera per tentare l’assalto a Budapest.

Da sempre seguito dal padre Marco, a sua volta due volte primatista nazionale indoor agli inizi degli anni 80, Tamberi ha scelto di voltare lo sguardo verso Giulio Ciotti, allontanandosi dunque da quella che fino a quel momento era stata la sua guida, in pista così come nella vita. Non è dunque un caso che proprio al papà sia andato uno tra i primi pensieri del neo-campione del mondo, con poche parole cariche di significato a raccontare il silenzio calato tra i due dopo il cambio in corsa e, al contempo, a testimoniare la riconoscenza del figlio ormai diventato grande. L’atleta delle Fiamme Oro, ora, davanti a sé ha già nel mirino Parigi 2024. Le Olimpiadi, per lui, saranno l’ennesimo banco di prova di una carriera che leggendaria lo è già oggi, figuriamoci con nuove medaglie da inserire nella sua collezione personale.

Barba a metà, scarpe multicolori e calzini spaiati. Un personaggio che piace agli appassionati di atletica, che fa sobbalzare sulle sedie gli spettatori negli stadi e che ha fatto innamorare l’Italia tutta con la sua voglia di non mollare prima e di superarsi poi. Alzare l’asticella, insomma, è e sarà il suo pane quotidiano. Fin dove si spingerà è tutta da scoprire; per il momento, si può accontentare di aver scritto la storia della disciplina, quantomeno nella sua accezione azzurra. Non si può dire sia poco, anzi. È un sogno, dal quale nessuno peraltro vuole risvegliarsi.