Max Biaggi lo ha detto papale papale mentre Valentino Rossi annunciava il suo ritiro dalla Moto Gp a fine stagione. L’ha messa giù così com’era: non abbiamo mai finto di essere amici. “Valentino ed io abbiamo animato una delle rivalità più belle del motociclismo, senza mai fingere di essere amici. Semplicemente eravamo due acerrimi rivali, che lottavano per raggiungere lo stesso obiettivo. Credo per questo che fosse naturalmente impossibile essere amici. Quando sei un vincente non accetti di arrivare secondo e quando succede prepari subito la prossima battaglia per primeggiare”.

Nino Benvenuti nell’agosto del 2020, a 82 anni, con trenta gradi all’ombra, è entrato in macchina per farsi 400 chilometri e arrivare fino a Pontedera. Poche parole ai cronisti: “Sul ring l’ho sconfitto, ma non l’ho mai battuto”. Sandro Mazzinghi, appena scomparso, era stato il suo acerrimo rivale negli anni d’oro del pugilato italiano. Due campioni del mondo, due tipi di boxe diversi, due incontri entrambi a favore di Benvenuti; il secondo contestato dal toscano, mezzo secolo per tornare a rivolgersi la parola. “Ci siamo battuti, sono sempre state battaglie dure, ma l’ho sempre rispettato e ora lo ricordo con affetto. La nostra è stata una rivalità come quella fra Coppi e Bartali, abbiamo diviso l’Italia dello sport. Sul ring Sandro era un guerriero, ti metteva paura, lo guardavi negli occhi e capivi che per lui c’era solo il volerti sopraffare, voleva vincere a tutti i costi. E per batterlo dovevi dare veramente qualcosa in più”.

Coppi e Bartali. Non si scappa: non esiste rivalità che in Italia non venga tracciata nel solco di quel duello. L’Airone e Ginettaccio. Il Campionissimo tradizionale e cattolico militante legato alla Democrazia Cristiana e l’atleta simbolo del Dopoguerra e di un’Italia laica e moderna. Uno schivo e l’altro sanguigno. I campioni che hanno diviso il tifo e unito nella passione del ciclismo allora sport egemone in Italia.

Fa piacere insomma che nella Nazionale italiana che ha vinto gli Europei di Calcio siano tutti uniti e amici e che gli stessi sentimenti siano stati propagandati più o meno per tutti i 40 podi della squadra Azzurra alle Olimpiadi di Tokyo – 40 medaglie, record assoluto, Giochi destinati a restare nella storia dell’Italia – ma fa gola di più una rivalità in erba, con tutta quanta la strada nelle scarpette, la grandissima parte dei chilometri di pista ancora tutti da correre e pestare. In volata, naturalmente, da velocisti quali sono Marcell Jacobs e Filippo Tortu.

Il primo è tornato da Tokyo con due medaglie d’oro: la prima nei 100 metri (strepitoso 9”80) ha sconvolto il mondo e l’Italia che non aveva mai avuto neanche un finalista nella specialità. E Tortu che invece aveva mangiato la polvere: lo scorso maggio si era visto cancellare proprio da Jacobs il suo primato italiano nei 100 piani del 2018 (9”99) che aveva superato Mennea; alle semifinali a Tokyo non era riuscito a qualificarsi alla finale. Poteva restare seminato, polverizzato, cancellato e invece si è preso “il tetto del mondo” nella 4×100 con un 8”86 miracoloso, il sorpasso sul traguardo, un’impresa che racconteremo ai nipotini.

Alla fine della staffetta da Oro – con Fausto Eseosa Desalu e Lorenzo Patta – Jacobs ha parlato di intesa, di squadra, e per l’amor di dio. Il sogno sarebbe però che quel testimone della staffetta diventasse la nuova borraccia del Tour de France del 1932 che passa da una mano di Coppi a quella di Bartali – o il contrario: resta il mistero più oscuro dello sport italiano. Poche ore sono infatti bastate a diffondere le voci sulla maretta tra i due. Giampiero Galeazzi ha detto che “c’è pure un po’ di freddo”. E l’intervista di Jacobs alla Gazzetta dello Sport ha fatto il resto: “I ruoli si sono invertiti, ora tiro io. Nel passaggio può darsi che qualcosa abbia incrinato la fiducia reciproca. Un saluto mancato, un complimento non fatto. Ma conosco bene Filippo, lo stimo e so che certe cose non arrivano direttamente da lui. E dopo quello che ha fatto in finale…”.

Insomma i presupposti ci sono tutti affinché questa sia l’inizio di una bella inimicizia, una rivalità ai massimi livelli della velocità, la fine della favola del “volemose bene” tra ambiziosi e competitori e l’inizio dell’epica, quella che tra l’altro lo sport preferisce con tutti i difetti, gli inciampi, i fallimenti, le sconfitte e i successi degli atleti. Gente sfrenata questa, senza limiti, disinibita in pista e forse fuori, capace di appassionare anche a parole – a differenza delle zone miste della Serie A.

Sarebbe un duello inedito, per la specialità, in Italia; un terreno quindi tutto da esplorare per il grande pubblico. Ci siamo già, ci sono già: hanno fatto emozionare ed esultare come fanno le star. Arrivano e vanno veloce mentre Rossi, Federica Pellegrini e Aldo Montano salutano; protagonisti di un ricambio generazionale. Sono i due fenomeni del Paese più veloce del mondo. Che benedizione sarebbe per lo sport italiano se continuassero a litigare, a sbracciare, a migliorarsi nella competizione e a buttarsi in avanti sulla linea del traguardo a questi livelli. Sempre corretti fuori, ci mancherebbe: proprio come Coppi e Bartali.

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Giornalista professionista. Ha frequentato studiato e si è laureato in lingue. Ha frequentato la Scuola di Giornalismo di Napoli del Suor Orsola Benincasa. Ha collaborato con l’agenzia di stampa AdnKronos. Ha scritto di sport, cultura, spettacoli.