Nel Sì&No del giorno, spazio al dibattito aperto dalle parole di Pierfrancesco Favino che ha contestato l’assegnazione di ruoli di personaggi italiani ad attori stranieri. Abbiamo chiesto un parere sulla questione a Luciano Nobili, esponente di Italia Viva, che ritiene sbagliato lo sfogo dell’attore, e a Simona Branchetti, conduttrice Mediaset, che, invece, ritiene giuste le argomentazioni di Favino.

Qui di seguito, l’opinione di Luciano Nobili.

Indispensabile premessa: Pierfrancesco Favino è un attore straordinario. Probabilmente il miglior interprete cinematografico che l’Italia possa vantare oggi. Basterebbero la sua immedesimazione in Tommaso Buscetta ne “Il traditore” di Bellocchio, la sua metamorfosi in Bettino Craxi nel film di Gianni Amelio e la sua struggente interpretazione in “Nostalgia” di Mario Martone – solo per stare ai suoi ultimi successi – per riconoscerlo, senza aprire il dibattito. Così come ha commosso e convinto tutti il “suo” Comandante Todaro che ha aperto l’ottantesima edizione della Mostra del Cinema in corso a Venezia. Favino, peraltro è uno dei pochi volti del cinema italiano che ha riconoscibilità internazionale e che lavora all’estero. Ha partecipato a film di grande successo, da “Una notte al museo” a “Le cronache di Narnia”, da “Miracolo a Sant’Anna” diretto da Spike Lee fino a “Angeli e Demoni” e “Rush” di Ron Howard. Ha persino ricevuto il prestigioso riconoscimento di entrare a far parte del ristrettissimo novero dei giurati italiani dell’Academy, che partecipano all’individuazione dei candidati agli Oscar.

Insomma, possiamo certamente escludere che Favino parlasse pro domo sua o di cose che non conosce quando ha lanciato un pesante j’accuse contro la scelta di un attore americano per interpretare Enzo Ferrari nel film di Mann presentato alla Mostra. Aveva, immagino, l’intenzione di difendere i colleghi e il cinema italiano da quella che ha – addirittura – definito “appropriazione culturale”. Un po’ come l’accusa che colpì la Disney nei confronti del popolo maori per “Oceania”. Nonostante ciò, credo proprio che Favino si sbagli. E non solo perché il cinema italiano, dopo il disastro del Covid, vive una timida fase di ripresa e di ritorno in sala degli spettatori, anche se con trend disomogenei che vanno assolutamente consolidati. Ripresa testimoniata proprio a Venezia dalla presenza di ben sei titoli italiani in concorso. E neanche perché Micheal Mann – che è un regista di livello indiscutibile, uno degli ultimi maestri di cinema del nostro tempo – si è trasferito per mesi a Modena per studiare le radici e lo spirito del Drake e perché la produzione del film porterà un indotto importante a quel territorio e non solo, di cui dovremmo essere felici. O perché un’icona assoluta del nostro paese come Enzo Ferrari è stato interpretato oggi da Adam Driver come lo è stato ieri da Sergio Castellitto e chissà domani chi tornerà a impersonarlo. Ma soprattutto perché la storia del nostro cinema più grande non conosce bandiera, ed è costruita con lo sguardo di grandi cineasti che hanno saputo scegliere, di volta in volta, il meglio per i loro film. E perché ci sono interpreti “stranieri” che sono consustanziali ai grandi capolavori per i quali siamo amati in tutto il mondo.

Cosa sarebbe stato “Il Gattopardo” senza Burt Lancaster e Alain Delon o “Le mani sulla città” senza Rod Steiger? Cosa sarebbe stata “La Strada” di Fellini senza lo Zampanó di Anthony Quinn? Come si fa a pensare a “Novecento” di Bertolucci senza Depardieu e Robert De Niro? Cosa sarebbe stato il cinema di Sergio Leone senza Clint Eastwood? Perché se c’è – piuttosto – una battaglia da fare oggi nel cinema non è quella contro la provenienza di questo o di quell’attore, ma perché si tratti di un interprete in carne ed ossa e non un prodotto dell’intelligenza artificiale, battaglia che stanno conducendo gli attori oltreoceano e che dovrebbe preoccupare anche in Europa. E perché, vivaddio, il cinema è arte, libertà, trasfigurazione. Non ha confini né nazioni.

Torniamo a far grande il nostro cinema, costruiamo uno star system italiano, lavoriamo sulla qualità delle nostre opere cinematografiche lasciando da parte le polemiche. Contrastiamo il sovranismo in politica, ci manca solo di vederlo applicato alla settima arte.

Luciano Nobili

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