Sabato champagne” è così che immaginava la sua televisione Silvio Berlusconi. Niente pesantezze, al bando gli intellettualismi, nel 1985 l’obiettivo era creare una Canale 5 d’esportazione che fosse “non come una Coca-Cola, non come gli spaghetti, ma una televisione frizzante, sabato champagne”. E così ha fatto, non solo con le sue reti ma con uno stile di vita che ha ammaliato generazioni intere. Di questa filosofia esistenziale scintillante e godereccia si è nutrita gran parte d’Italia, sognando ricchezze, bellezza, ville, yacht, feste e macchinoni, e ha cresciuto anche Anita, la protagonista dell’esordio letterario di Alice Valeria Oliveri che ha intitolato il suo romanzo proprio con questa citazione simbolica: Sabato Champagne (ed. Solferino).

Partiamo dal presupposto che questo libro è qualcosa che prima non c’era: un mix tra un diario, un romanzo di formazione e un saggio sulla televisione commerciale italiana. Un racconto intimo e allo stesso tempo la fotografia spietata degli anni ’90-2000 fatta attraverso gli occhi di una giovane spettatrice di provincia. La scrittrice, ora trentenne, ripercorre infatti le tappe della sua vita senza infiocchettare i ricordi e descrive a sangue freddo la sua infanzia, adolescenza e recente vita adulta. Le città passano, Catania, Roma, Milano, ma c’è una grande costante nelle sue giornate, una compagna di viaggio sempre pronta a farla star bene, anche nei momenti più bui: la televisione.

“Da piccola, quando ero sola, passavo molto tempo davanti alla tv. La mia solitudine non era né malinconica, né tragica, era autosufficiente” dice Anita nel primo capitolo, Solitudine. E rompe, nella prima riga, un tabù: la figlia di due genitori lavoratori che accetta il momentaneo abbandono e riempie il vuoto di interminabili pomeriggi dai nonni con ore di programmi e cartoni, senza limiti, abitudine segreta e condivisa con l’infanzia di tantissimi bambini italiani.

Negli anni ’90 la televisione col tubo catodico è dunque un oggetto sacro, fulcro di ogni appartamento, sottofondo sonoro di vite intere, intrattenimento a basso impatto, evasione e compagnia. E commenta l’autrice Oliveri: “Per me la tv è stata una realtà, non un mondo a cui ambire. Era la dimensione del presente insieme alla scuola, gli amici, la famiglia”.
Il tempo non viene più scandito dalle campane della chiesa ma dalla messa in onda, prima dei programmi preferiti dalla nonna come quelli di Paolo Limiti e “Beautiful”, poi con le sit-com americane come “Willy il Principe di Bel-Air” e “La Tata” per arrivare più recentemente ai format Made-in-Mediaset come “Il Grande Fratello”, “Uomini e donne” e “Amici”.

Così da una parte Anita racconta la sua crescita grazie alla Maestra tv, e dall’altra Alice Oliveri ammette con candore che la sua adolescenza è stata segnata da Maria De Filippi e da quel teatrino sentimental-popolare dei protagonisti lampadati di “Uomini e Donne”.
Si potrebbe pensare male e invece questo percorso ha portato la protagonista fino a Cologno, a lavorare proprio per il Biscione, “la fabbrica del desiderio posizionata nel salotto di tutti gli italiani”.
E se le chiediamo cosa resta di questi vent’anni di televisione commerciale risponde: “Resta l’esperienza dell’evento collettivo che nessun altro mezzo di comunicazione vecchio o nuovo, esclusa qualche eccezione del cinema, riesce a concretizzare in modo così trasversale. Eventi come Sanremo o le partite della nazionale restano momenti di condivisione che solo la tv generalista è ancora in grado di darci. E resta anche il desiderio di apparire e di essere guardati che è cominciato con i reality ed è diventato molto più diluito e capillare con i social.”

E per la tv del futuro? Alice cosa consiglieresti a chi vuole diventare un personaggio tv di successo? “Consiglierei di puntare ai vecchi classici, gli unici format che ancora resistono al calo di interesse del pubblico ora che i contenuti si sono moltiplicati grazie alle piattaforme e a internet. Di fatto, i programmi più visti sono gli stessi di vent’anni fa.”

Maddalena Messeri

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