Il Dott. Gordon Schiff, medico internista, Direttore della Qualità e della Sicurezza presso il Center for Primary Care dell’Harvard Medical School, Direttore Associato del Brigham and Women’s Center for Patient Safety Research and Practice e Professore Associato di Medicina presso l’Harvard Medical School, in un suo recente articolo presso la prestigiosa rivista inglese “The New England Journal of Medicine” pone un problema di sensibilità medico-paziente.

Da circa un anno utilizza un software di Intelligenza Artificiale per redigere le note cliniche nel proprio ambulatorio. Si tratta di una tecnologia avanzata, in grado di trasformare in meno di un minuto una conversazione con il paziente in una nota completa, organizzata in sezioni come anamnesi, esame obiettivo, diagnosi e piano terapeutico. Il risparmio di tempo è notevole rispetto alle serate passate a sistemare appunti disordinati, ma comporta un costo meno evidente. Il software è straordinariamente efficiente, ma presenta un limite che il medico ha notato fin da subito: tende a cancellare quasi del tutto il lato umano dell’incontro. I dettagli personali – la figlia con problemi di dipendenza, le vacanze a Porto Rico, il nuovo lavoro stressante – scompaiono. E con essi anche la possibilità di costruire relazioni. Ricordare questi dettagli gli permetteva di connettersi con i pazienti al di là della malattia. Si trattava di informazioni “non mediche”, ma fondamentali per offrire un’assistenza completa e umana.

L’omissione di questi elementi non è un difetto, ma una scelta progettuale. Secondo Microsoft Nuance DAX, il sistema utilizzato, il software “filtra le conversazioni non rilevanti per la valutazione medica”. Ed è proprio questo il punto: che tipo di medicina si desidera? Un’assistenza primaria ridotta a un processo transazionale, efficiente ma impersonale? Oppure una medicina basata su relazioni, fiducia e ascolto? La questione non è affatto retorica. Come ha osservato il politologo sanitario Timothy Hoff, è in atto una lotta per l’anima dell’assistenza sanitaria. E l’assistenza primaria rappresenta il fronte principale. La medicina è fatta di parole, e perdere l’occasione di usarle con le proprie voci – nei piani, nei commenti, nei racconti – è pericoloso. Le note cliniche sono anche uno spazio di pensiero, di sintesi, di riflessione. Quando quel pensiero viene automatizzato, si perde parte dell’autonomia professionale.

L’Intelligenza Artificiale nella documentazione medica appare ormai inarrestabile. Tuttavia, se non si ridefinisce chi ha il compito di decidere cosa sia “importante” in un incontro clinico, si rischia di sacrificare ciò che rende la medicina una professione profondamente umana: la relazione. Solo un cambiamento di rotta, che restituisca centralità ai medici e ai pazienti, potrà salvaguardare ciò che di più prezioso esiste nella cura.