Il grido di allarme di tredici eminenti scienziati sulla crisi del Servizio sanitario nazionale ha portato argomenti alla narrazione secondo cui la tenuta del sistema pubblico è a rischio allo scopo di favorire quello privato. La prova di questo disegno politico verrebbe dall’incremento della spesa sanitaria privata a carico dei cittadini (stimata in più di 40 miliardi l’anno), determinata soprattutto dalla inefficienza delle strutture pubbliche (lunghe liste di attesa per ottenere le prestazioni di cui si ha diritto, inefficienza delle strutture di ricovero e cura, gravi carenze negli organici, limitati investimenti nelle nuove tecnologie di analisi, accertamento e cura). Se in valore assoluto la spesa sanitaria ha toccato il massimo storico, essa è sottodimensionata da anni rispetto al fabbisogno. I talk show dal canto loro danno testimonianza di tante persone, affetta da gravi patologie ma impossibilitate a causa delle lunghe liste di attesa che sono costretti a rivolgersi alla sanità privata pagando di tasca propria se se lo possono permettere o altrimenti a rinunciare a curarsi.

Ovviamente è sul tavolo del governo in carica dove finisce lo scarico del barile. Si dimenticano tanti motivi di queste sofferenze alcuni dei quali portano con sé gravi responsabilità politiche La pandemia ha esacerbato dei limiti strutturali del sistema sanitario italiano, che esistevano e restano anche in condizioni di normalità preesistente o ritrovata. La crisi si è riversata tutta sulle strutture ospedaliere pubbliche, che non hanno potuto contare, neppure in una funzione di alleggerimento, sulla medicina del territorio né su quella convenzionata o privata. Già nel novembre 2020, Conte e Speranza trassero un bilancio a quel momento dei danni subiti dai cittadini; tra cui: ritardi o cancellazioni di interventi chirurgici per tumore dovuti ad un affollamento fino all’intasamento delle terapie intensive; diminuzione dell’afflusso ai Pronto Soccorso e alle unità di terapie intensive cardiologiche di pazienti con infarto del miocardio in fase acuta e riduzione degli interventi di impianto percutaneo di valvole aortiche, di riparazione della valvola mitrale e di angioplastiche coronariche e ciò ha portato al raddoppio della mortalità per questa patologia; circa il 20-30 % dei trattamenti oncologici sono stati perlomeno ritardati, se non cancellati. Tra le grandi lamentazioni riguardanti il fabbisogno di personale sanitario, vanno annoverati gli effetti deleteri prodotti, da quota 100 per quanto ha riguardato il pensionamento anticipato del personale. Infine, poiché viene portata avanti la critica riguardante la mancanza di risorse, bisognerebbe prendersela con quanti (sono gli stessi che oggi lamentano la crisi) impedirono l’adesione al

Mes sanitario (ben 37 miliardi). In tale contesto – secondo la Banca d’Italia – la spesa privata incide per quasi un quarto della spesa sanitaria complessiva (pari nel 2021 al 7,2 per cento del prodotto, ossia poco più di 2.160 euro pro capite). È costituita per circa il 90% da esborsi out of pocket direttamente a carico delle famiglie e, per la quota residua, è intermediata da soggetti terzi. I fondi sanitari (con 10,6 milioni di iscritti nel 2021) svolgono un ruolo preminente nell’ambito del secondo pilastro privato/collettivo. Il mercato delle polizze sanitarie individuali e collettive – il terzo pilastro – è assai articolato. Nel 2021 (ultimo anno per cui i dati sono disponibili) i premi relativi alle polizze malattia ammontavano a 3,1 miliardi di euro, pari al 9,2 per cento della raccolta complessiva del ramo danni. Le polizze malattia in forma collettiva hanno raccolto premi per circa 2 miliardi di euro, di cui 1,7 relativi a fondi sanitari. Negli ultimi anni si sono diffuse pratiche di welfare aziendale quasi sempre comprensive di forme di assistenza sanitaria privata. Si tratta di un sistema pubblico/privato che deve essere riorganizzato in una funzione sinergica, integrativa non ripetitiva. Le risorse ci sono; ne va razionalizzato l’impiego. Liberiamoci del mito dell’universalismo che non solo non è mai esistito (anche perché sono operanti 20 sistemi di sanità pubblica quante sono le regioni), ma è in pratica insostenibile.

La via d’uscita sta nella collaborazione istituzionalizzata tra il sistema pubblico e l’autonomia privata sulla base di una divisione dei ruoli e delle funzioni, allo scopo di raggiungere il fine unitario della tutela della salute ciascuno per la sua parte. Si tratta cioè di stabilire quale protezione deve essere garantita (e a chi e a quali condizioni e criteri di universalità essenziali ma non onnicomprensivi) dal SSN e quanto può essere affidato – in modo sostitutivo – all’iniziativa privata collettiva ed individuale.