Conosco un posticino. In cima al fiordo di Furore – sì, dove la Magnani passò giorni d’amore con Rossellini che nel frattempo la tradiva con la Bergman – un posticino dove si può cenare a chilometro zero seduti ai tavoli di uno slargo mentre ti arrivano intense zaffate di escrementi d’asino che in Costa d’Amalfi hanno lo stesso valore di una Ferrari perché sono l’unico mezzo di trasporto di materiale edile per centinaia di scale.

Difficile prenotare in quell’agriturismo, è sempre tutto pieno, come sono belli posti come questi d’estate. Fanno parte del paesaggio anche i crolli delle macere, cioè i muri di pietre a secco che sorreggono le terrazze di limoni più famose al mondo. Molte sono incolte, qualche imprenditore ne ha preso a lotti interi e li sta, per fortuna, curando ma c’è sempre il sospetto che chissà che affare voglia fare a danno dei cittadini. Per mettere a posto un mattone, da queste parti, puoi aspettare decenni, fecero eccezione solo per l’ascensore che porta al cimitero di Amalfi, eppure passarono anni. Perché è meglio avere un “patrimonio dell’umanità” mummificato piuttosto che dare una mano a chi vive lì tutto l’anno costretto a salire 400 scalini dietro le bare. Si imbestialiva Mimmo De Masi quando gli contestavano l’auditorium di Ravello che, orrore, offusca per due metri la vista della costa. “Non capite niente, le città non sono immobili”, diceva. Più a Sud? Vi piace sciare guardando il mare? Allora andate a Gambarie in Aspromonte, dove una volta nascondevano i sequestrati, si può fare discesa libera guardando dall’alto la danza dell’onda jonica e di quella tirrenica che si abbracciano alla confluenza.

“Quando dico questa cosa a Milano”, si divertiva a raccontare Nuccio Barillà, storico dirigente di Legambiente, “impazziscono tutti”. Che magia questo Sud esotico, selvaggio, tortuoso e complicato. Fra poco, sono certa, andranno di moda anche le spiagge dorate di Africo, al maschile, nella Locride, il paese raccontato da Stajano e Calopresti. A chi importa, se non a qualche impavido collega calabrese, che in quella zona, a San Luca, nessuno si è voluto candidare per le prossime elezioni e non è la prima volta.Democrazia sospesa, però è così bello fare speciali antropologici sulla Madonna di Polsi per l’ennesima inchiesta sulla Santa. E Marzamemi? L’altro giorno un augusto rappresentante del nostro Parlamento, evidentemente già col pensiero alle vacanze, ne condivideva l’immagine molto nota dei tavoli con le sedie azzurre, l’intonaco lucente delle case bianche con archi di rigogliose bouganville. “Altro che ristorante di lusso, io preferisco questo”. Mancavano solo i versi di Vittorio Bodini,Tu non conosci il Sud”. Chissà se manca l’acqua anche in quella parte della Sicilia.

Qualche settimana fa il Manifesto ha ricordato il secolo di Rossana Rossanda ripubblicando “I fantasmi di Ginostra”, celebre e intenso reportage del 1981, un articolo di denuncia verso quei fantasmi “transitori e voraci” in cerca di abbronzatura interessati ai fichi d’india, le sassaie e gli scogli, i tramonti sul mare e le notti stellate senza accorgersi dell’abbandono. Era una posizione politica, sentimentale e intellettuale al tempo stesso. La giornalista vedeva Ginostra come «la forma estrema della spossessione e del declino» del Mezzogiorno e denunciava uno Stato «che prima lascia il sud ammalarsi poi ne affitta, grazie all’estate, la malattia».C’è uno Stato che ancora oggi continua ad alimentare la bellezza dell’abbandono, complice di un eterno mancato sviluppo che in estate brilla di suggestione. In Calabriail non finito”, è diventato una corrente di architettura. Non si va né avanti né indietro, non si finisce e non si abbatte, protetti dall’inerzia (e dalle paure) di una Pubblica amministrazione che nella selva di autorizzazioni, visti, conferenze di servizi, nulla osta e permessi e reclami e ricorsi al Tar, lascia arrugginire con l’idea di conservare.Negli anni Cinquanta Camilla Cederna venne in vacanza in una sconosciuta Maratea. Ne scrisse sul Corriere dell’informazione. “E tu dove vai al mare?”, “nel golfo di Policastro”, rispondeva alla fine di giugno alle amiche milanesi (sempre con Milano è il confronto), meravigliate, disorientate spesso anche soltanto divertite. Montanelli, perfido, metteva in guardia dalle troppe biciclette. Chissà che scriverebbe oggi, che neppure quelle si possono usare, 70 anni dopo, per passare sulla Statale 18, chiusa per una frana da tempo immemorabile. Si riapre e si chiude, come una fisarmonica. È il tema della campagna elettorale in corso. In alternativa ci si può arrampicare sulla strada ferrata. Una grande emozione.

È tutto bellissimo, due settimane sotto gli ulivi del Sud (quelli sani e quelli che non estirpano per impiantarli a Dubai) ci rigenerano dalle nostre frenesie metropolitane e mettono in pausa le chiacchiere che facciamo tutto l’anno sulla sostenibilità e la rigenerazione dei luoghi. Convinti che la sostenibilità sia quel “nespolo che va e viene tra noi e l’inverno”, giammai il rigassificatore e la piastra del freddo a Gioia Tauro, perché la “restanza” è una bellissima idea ma nessuno si pone il problema di come dovrebbe vivere chi resta elaborando anche strane teorie secondo le quali ciò che non va bene per noi potrebbe andare bene per gli immigrati destinati ad abitare borghi come lontre da allevare per il ripopolamento. Nel frattempo, in vista dei mitici bollini rossi vi segnalo che l’autostrada A3 Napoli-Salerno dall’inizio di maggio non accetta più Visa e Mastercard per pagare il pedaggio. Se non avete il telepass preparate il contante. Come dal verdumaio sotto casa che per fare cassa a nero dice sempre che non ha la linea per il bancomat.

Lucia Serino

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