Le critiche in questi giorni sanremesi non sono mancate, e si sono raggrumate in un facile schema dei soliti soloni intellettualoidi che leggono solo i simbolisti francesi, guardano film coreani in lingua originale e ascoltano musica classica anche a Ferragosto. Questi dicono: “Che stile vecchio! Un Festival vecchio stile”.

Che dire? Almeno questo Festival uno stile ce l’ha. Si nota pure che c’è una quantità di canzoni, con le voci a strascico modulate dall’autotune, di cui si capisce a fatica dove finisce una parola e dove ne comincia un’altra. Sono le canzoni prodotte commercialmente in serie per le piattaforme e le radio. Si notano perché – a differenza dei precedenti Festival, in cui c’era solo questa tipologia – quest’anno ci sono cantanti che cantano davvero, tipo Gabbani, Giorgia, Olly, Willie Peyote, Lucio Corsi, Brunori Sas e altri. Ma l’italiota, si sa, ha la critica pronta in canna per la qualsiasi, tranne che per le cose serie. E una parte di quelli che criticano, correrebbe in ginocchio sul palco dell’Ariston.

Dai Carlo Conti, avanti! Finalmente un Festival della canzone, in cui sono protagoniste le canzoni e non il chiacchiericcio. Finalmente un Festival dove c’è serena informalità nella conduzione. Comunque vada, è già un successo. Perché Sanremo è Sanremo e – si sa – c’è tutta l’Italia seduta in platea.