Elly Schlein e il campo largo impossibile. La segretaria del Pd, dopo le regionali in Abruzzo e Sardegna, si trova a fare i conti con un paradosso. Il suo partito, all’indomani di questa tornata elettorale, appare piuttosto in salute ed è di gran lunga la prima forza politica di opposizione. Legittimamente, dunque, Schlein aspira a essere il baricentro della coalizione alternativa alla maggioranza. Il problema è che questo fronte di centrosinistra a oggi non esiste nella realtà. Implicitamente lo ammette la stessa leader dei dem in un’intervista a La Repubblica. “Io non demordo”, spiega, di fronte ai veti incrociati che frustrano le ambizioni di chi vorrebbe mettersi alla testa di un campo largo che resta un oggetto misterioso. E ancora: “L’alleanza tra tutte le forze di opposizione è un percorso avviato, sono sicura che ce la faremo”. Attenzione: Schlein parla di tutte le forze che si oppongono al governo Meloni. La prospettiva, quindi, è quella di un campo larghissimo. Una coalizione extra large che tenga insieme Nicola Fratoianni e Angelo Bonelli con Matteo Renzi e Carlo Calenda. Passando per il M5S di Giuseppe Conte. Il modello del Pd è l’Abruzzo più che la Sardegna. Schlein insiste: “Noi ci rivogliamo a tutte le forze che si oppongono al governo Meloni, è un fatto matematico, prima ancora che politico”.

Il macigno più grosso

La segretaria è tornata sul tema nel pomeriggio, durante un’iniziativa al Senato: “Uniti o si vince o si perde, divisi non si gioca la partita”. Sono le ragioni della matematica contro quelle della politica. E la politica ci dice che il campo larghissimo di Elly Schlein è una formula impossibile. Prima di tutto per i veti e controveti che stanno animando di nuovo le opposizioni, a maggior ragione dopo l’illusione abruzzese.
Il macigno più grosso sulla strada della segretaria è il Movimento Cinque Stelle. Dopo il flop di domenica, i grillini addossano le colpe del loro fallimento all’alleanza in Abruzzo con Azione e Italia Viva. Da qui la prima condizione dei pentastellati al Nazareno: “Noi ci stiamo a fare il campo giusto con il Pd, ma non andremo mai più con Renzi e Calenda, nemmeno a livello locale”. E uno. Lo scetticismo stellato è ricambiato dai partiti dell’ex Terzo Polo. “È inaccettabile e inimmaginabile un’alleanza nazionale con il M5S, basti pensare alle loro posizioni sulla politica estera e sulla giustizia”, è l’umore che si respira tra renziani e calendiani. E due. Ma la segretaria del Pd deve fare i conti anche con i veti che provengono dall’interno del suo stesso partito. I “riformisti” sono disposti ad accettare un accordo stabile con i Cinque Stelle, ma a due condizioni.

Eccole: nel campo progressista devono esserci anche Azione e Italia Viva e Giuseppe Conte deve rassegnarsi al ruolo di comprimario del Pd. Ragioni spiegate chiaramente, all’indomani del voto abruzzese, dal senatore Alessandro Alfieri, membro della segreteria nazionale, autorevole esponente della minoranza interna ai dem. “Il Campo largo non ha alternative, ma Conte riconosca la guida al Pd”, ha detto Alfieri. “Noi siamo il baricentro della coalizione e spetta a noi il compito di unire forze politiche diverse”, ribadisce il concetto a Il Riformista un dirigente del Pd vicino al presidente dell’Emilia Romagna Stefano Bonaccini. I riformisti chiedono a Schlein di relegare Conte al ruolo di socio di minoranza. Che è proprio ciò che l’ex premier vuole evitare a tutti i costi, soprattutto in vista delle elezioni europee, dove si corre con il proporzionale. “Noi non saremo mai gli junior partner del Pd”, fanno sapere gli uomini più vicini a Conte.

Perimetro e programma

Le ragioni della matematica, su cui confida Schlein, cozzano con quelle della politica. Infatti sarebbe difficile immaginare una coalizione nazionale che non va d’accordo sulla politica estera in un momento di tensioni geopolitiche senza precedenti negli ultimi anni. Da un lato ci sono il M5S e Verdi e Sinistra, contrari agli aiuti militari all’Ucraina. Dall’altro ecco Azione e Italia Viva, convintamente al fianco di Kiev. In mezzo c’è il Pd, che è schierato sul fronte occidentale, ma deve fare i conti con spinte interne “pacifiste” e neutraliste. Al campo largo mancano perimetro e programma e non c’è nemmeno un federatore. “Dobbiamo provare a inventarci un accordo, ma se ci fosse Prodi sarebbe meglio”, riflette un deputato di Alleanza Verdi e Sinistra. In sintesi: al netto di una fumata bianca in extremis sulle prossime regionali in Basilicata, il campo largo a livello nazionale è un miraggio.