Il risultato emerso alle elezioni regionali in Abruzzo ha fornito un responso chiaro: è quanto mai impellente la necessità di dare un nuovo impulso all’«area moderata, riformatrice, cattolico-democratica e popolare». Ne è convinto Giuseppe Fioroni, ex ministro del governo Prodi, secondo cui occorre riflettere anche sulla scarsa partecipazione al voto per dare rappresentanza politica a un sentimento che fa sempre più fatica a trovare spazio. Se da una parte il crollo di Lega e M5S mette in mostra un segnale anti-populista, dall’altra non può passare inosservato il nuovo asse a «sinistra-sinistra» del Pd (da cui è uscito) che tende a radicalizzare senza trovare le basi su una sintesi concreta e credibile.

L’Abruzzo non è stato toccato dall’effetto Sardegna. Il «vento Todde» era solo una spifferata locale?
«Il campo larghissimo presenta delle oggettive difficoltà perché molte anime diverse ed eterogenee con rapida e improvvisata sintesi non riscontrano il palesarsi appieno dell’attrattività della proposta agli elettori. Azione diceva “Mai con i 5S”, Italia Viva ci sta ma anche no. È una compagine di sinistra-sinistra tra Pd e 5 Stelle sulla spinta alla radicalizzazione piuttosto che su una sintesi. Nel centrodestra c’è una forte azione di traino di Fratelli d’Italia ma con un centro che si frammenta in tante formazioni nessuna delle quali di dimensioni importanti. Le elezioni in Abruzzo dimostrano che senza un percorso di ricostruzione di area moderata, riformatrice, cattolico-democratica e popolare gli esperimenti estemporanei non riescono a far dispiegare la proposta che c’è. I dati negativi sull’affluenza dimostrano quanto serva un percorso di costruzione che dia organizzazione e dignità fondata sulla responsabilità verso il Paese e sull’orgoglio che metta al centro l’uomo».

Il crollo di Lega e M5S può essere interpretato come un segnale anti-populista?
«Il M5S quando fa il partito di lotta e l’anti-sistema allora il populismo funziona, ma quando entra in coalizioni di governo scoppiano le contraddizioni. Il M5S mette insieme tutti coloro che sono scontenti e arrabbiati da una parte, e quando sceglie di stare al governo di qualcosa perde perché è il partito della lotta e non della costruzione. È il populismo che cavalca l’onda ma non è in grado di guidarla. La Lega paga l’incapacità di essere un partito nazionale attento agli interessi della gente e del bene comune. Le battaglie dell’Autonomia differenziata, con tutto ciò che comporterebbero, restano momenti che non premiano».

Lei ha lasciato il Pd: a distanza di un anno dall’addio conferma le perplessità sullo spazio per riformisti e cattolici dopo l’arrivo di Elly Schlein?
«Schlein ha fatto un’operazione di mutazione genetica del Pd, che è ormai diventato un partito di sinistra-sinistra, di una sinistra massimalista che nulla ha a che vedere il Pd che fondammo. Questa composizione dimostra sempre di più che non c’è agibilità politica per l’area cattolico-democratica e moderata all’interno del Pd. Neanche Chi l’ha visto riesce più a trovarli all’interno del Partito democratico…».

In quale ottica s’inquadra l’accordo tra Tempi Nuovi e Insieme di Stefano Zamagni?
«Non abbiamo dato vita a un percorso per la costruzione di un nuovo soggetto politico. Abbiamo l’ambizione di contribuire come sale e come lievito alla formazione in un lungo percorso di costruzione dal basso, partendo dai territori, di quel radicamento valoriale e caratteristico della presenza dei cattolici-democratici e popolari. Quanto alle elezioni europee, siamo pieni di liste individuali e ci orienteremo nello scegliere i candidati che rappresentano al meglio i nostri valori e la nostra storia».