Un'altra interdittiva antimafia da horror
“Sei innocente ma tuo fratello no”, l’antimafia distrugge azienda sana
«Meno male che in Sicilia molto spesso abbiamo giudici amministrativi coraggiosi e imparziali in grado di fare giustizia. Perché purtroppo, in gran parte del Paese, i tribunali amministrativi non sempre maturano queste posizioni di fermezza. Piuttosto tendono a dare ragione al ministero dell’Interno penalizzando così onesti cittadini». Il commento, senza troppi fronzoli, lo fa l’avvocato Girolamo Rubino, esperto di cause legali in cui le interdittive antimafia, talvolta, colpiscono le aziende di imprenditori onesti. Che con le consorterie mafiose non hanno nulla a che vedere. Solo un esempio, forse il più emblematico: «Una volta mi sono occupato della vicenda di un avvocato – racconta Rubino – nominato curatore fallimentare di una società di Porto Empedocle al quale la prefettura di Agrigento contestò di avere rapporti con le famiglie mafiose della città. Ma l’avvocato era stato nominato dall’autorità giudiziaria, aveva dunque rapporti professionali. Una storia paradossale».
L’ultimo caso, in ordine temporale – per il quale, secondo quanto stabilito dai giudici del Tar, non è possibile divulgare i nomi dei soggetti coinvolti – ha riguardato un’impresa di Favara, in provincia di Agrigento, che si occupa di estrazione, fornitura e trasporto di terra e materiali inerti. La prefettura della città dei Templi, nell’aprile del 2019, aveva negato l’iscrizione dell’impresa nella cosiddetta “white list” emettendo un’interdittiva antimafia, in quanto il genitore e il fratello dell’amministratore unico dell’azienda, nella quale non ricoprono alcun incarico, sono stati condannati in primo grado dal tribunale di Caltanissetta per concorso in turbata libertà degli incanti. E cioè per uno dei reati spia valutati dal legislatore come indicativi del rischio di condizionamento mafioso. Anche l’imprenditrice è stata indagata per lo stesso reato ma la sua posizione, nel marzo 2017, è stata archiviata. Eppure due anni dopo l’archiviazione la prefettura d’Agrigento emette l’interdittiva antimafia.
La società deve sospendere i lavori che stava portando avanti a Enna ed è esclusa dalla gara dei lavori di manutenzione ordinaria, viabilità interne esterna e rurale indetta dal Comune di Alcamo. Ma perché un’impresa con a capo un soggetto incensurato e senza alcun rapporto con la mafia subisce le difficoltà e l’onta che comportano un’interdittiva antimafia? Per la prefettura agrigentina il rapporto di parentela con i due soggetti condannati, tra l’altro non per fatti di mafia, motiva il provvedimento interdittivo. Inevitabile il ricorso contro il ministero dell’Interno, il Libero consorzio comunale di Enna e il Comune di Alcamo da parte dell’azienda, assistita dai legali Girolamo Rubino e Lucia Alfieri, alla quale la prima sezione del Tar per la Sicilia – presidente Calogero Ferlisi, consigliere Roberto Valenti, consigliere estensore Sebastiano Zafarana – ha dato ragione.
«Il ricorso – scrivono i giudici – è fondato. Il provvedimento interdittivo impugnato – spiegano – non reca alcuna motivazione idonea a far ritenere che la turbata libertà degli incanti sia effettivamente un indice spia dell’affiliazione o della contiguità a consorterie mafiose, essendosi la prefettura limitata a recepire acriticamente la comunicazione dell’intervenuta condanna resa a carico dei parenti della ricorrente che non ricoprono alcuna carica all’interno della società, ed omettendo del tutto di farsi carico di verificare se fosse emersa realmente una contiguità dell’impresa ricorrente con ambienti malavitosi».
«In sostanza – conclude il Tar – gli elementi presi in considerazione dalla prefettura sono unicamente costituiti dalla sentenza penale di condanna resa nei confronti dei parenti dei soci della società ricorrente, e sul mero rapporto parentale, senza che venga però indicato alcun elemento concreto che possa far presumere che ci sia quantomeno un potenziale pericolo di un’infiltrazione da parte della criminalità organizzata». La prefettura agrigentina con questo provvedimento, annullato dal Tar, sembra aver dimenticato che la responsabilità penale è personale, «non si possono piangere le conseguenze delle azioni di un congiunto», specifica Rubino. «La mia assistita – dice – ha vissuto con ansia questa vicenda. Il fatto che la giustizia sia arrivata tempestivamente ci fa molto piacere e soprattutto ci dà grande fiducia nelle istituzioni». Almeno stavolta.
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