Se i lettori di questo giornale hanno avuto la pazienza di annotare ogni settimana le numerose storie di confische, nominalmente antimafia, ma in verità eseguite a danno di persone colpevoli di nulla, certamente si sono posti una domanda: si tratta di errori giudiziari occasionali, in qualche modo comprensibili, o si tratta invece di anomalie sistemiche, non tollerabili in un ordinamento democratico? Purtroppo la risposta giusta mi pare la seconda. Poiché la parola “antimafia” è circondata da un’aura di sacralità e la critica dei suoi strumenti, se non costituisce reato di lesa maestà, espone comunque al ludibrio pubblico, è necessario fare tante premesse e precisazioni. Per comprendere bene i termini della questione, è necessario preliminarmente superare un equivoco di fondo: il comune cittadino non può non pensare che la confisca abbia natura sanzionatoria, sia dunque giustificata da un reato commesso e sia inflitta a chi ha commesso quel reato. È così in tutto il mondo, è sempre andata così dalla notte dei secoli, sicché l’ignaro cittadino non può che associare mentalmente la confisca al reato presupposto e alla colpevolezza presupposta; non può che pensare tra sé e sé: “ben fatto! Costui ha tratto profitto dalle sue malefatte e ora ne paga le conseguenze”.

Ebbene. Questa inevitabile associazione mentale tra il presente della sanzione ablativa e il passato del reato commesso non ha alcuna ragion d’essere nel caso della confisca di prevenzione, in funzione antimafia, la quale suppone invece la connessione tra il presente (ablazione patrimoniale) e il futuro (pericolo di reati futuri). In sintesi: con siffatta confisca antimafia, si vuole prevenire un pericolo futuro, non già sanzionare un fatto illecito già accaduto. Allora, per rispondere alla nostra domanda, non sussistendo il nesso presente/passato, bisogna capire se e quando sussista realmente il nesso presente/futuro. Tale nesso giustificativo non può che consistere, per necessità logica, nel pericolo inerente o alla persona o alla cosa. Ci sono cose pericolose in sé, la cui confisca ha ragion d’essere a prescindere da chi ne abbia il possesso o la detenzione. Un’arma è sempre un’arma: è una cosa pericolosa in sé, a prescindere dalla persona del portatore. La sostanza stupefacente è pericolosa in sé, ancorché il detentore non abbia commesso alcun reato. Al di fuori di questi casi, il pericolo non può che inerire alla persona, sicché, in mancanza di un soggetto socialmente pericoloso, la confisca (di prevenzione) diventa una palese ingiustizia, essendo giustificata da niente e dovendo prevenire niente.

Suppongo che in linea di principio nessuno possa negare che una confisca di prevenzione, in assenza di alcun pericolo, sia contraria ai principi universali di giustizia oltre che alle norme costituzionali (principio di colpevolezza, diritto di proprietà etc.). Si tratta allora di vedere se nell’ordinamento italiano sia ammissibile siffatta confisca. Ebbene, il lettore sarà sorpreso, ma la risposta è positiva: perfino nel pieno vigore della “costituzione più bella del mondo”, è possibile e pienamente conforme alla legge confiscare, in funzione preventiva, i beni di persone colpevoli di nulla e non pericolose, dunque – a nostro giudizio – in assenza di qualsivoglia pericolo. La spiegazione è semplice e sta sotto gli occhi di tutti, sebbene ben coperta da una spessa coltre di silenzio: il c.d. codice antimafia (d. lgs. n. 159/2011) ha introdotto il principio della disgiunzione tra le misure di prevenzione personali (sorveglianza speciale etc.) e quelle reali (sequestro e confisca). Tradotto significa che si può procedere alla confisca, ancorché il soggetto ablato non sia stato dichiarato socialmente pericoloso. Il principio di disgiunzione è noto a tutti gli addetti ai lavori, seppure ignoto alla generalità dei cittadini. L’opinione pubblica disinformata continua a giustificare la confisca sulla base della falsa associazione mentale presente/passato, gli operatori del diritto devono invece giustificarla sulla base di un nesso presente/futuro e ovviamente si trovano in grande difficoltà logica, in assenza di un soggetto socialmente pericoloso. Si deve far quadrare il cerchio, ma la quadratura è difficile.

Percorrendo una strada molto impervia, il fondamento giustificativo di siffatta confisca di prevenzione, a danno di un soggetto non pericoloso (e meno che mai colpevole di reato), si fa consistere nel fatto che il soggetto inciso non riesca a fornire le prove di aver accumulato lecitamente il suo patrimonio. Dunque la sospetta provenienza illecita della cosa confiscata sarebbe la vera ragione della confisca. Ma la (presunta) provenienza illecita si riferisce al passato, non già al futuro e ciò che si riferisce al passato è sanzione, non prevenzione. Come dunque si può quadrare il cerchio innanzi a una “sanzione” senza reato e una “prevenzione” senza pericolo?

La quadratura si ottiene con il seguente ragionamento: la sospetta provenienza illecita, dedotta dalla sproporzione tra il patrimonio e il reddito dichiarato, induce a pensare che la cosa (oggetto di confisca) possa essere destinata a finalità illecita. È evidente che ci si arrampica sugli specchi, basta una sola considerazione: la metà degli italiani, pur non delinquendo, non potrebbe fornire la prova documentale di tutti i passaggi economici che hanno condotto all’accumulazione di capitale. In conclusione, la confisca di prevenzione vigente in Italia – e solo in Italia – appare come una specie di ircocervo, dalla doppia natura: sanzionatoria e preventiva. La sua natura sanzionatoria non è giustificata da un pregresso reato e da una colpevolezza presupposta, la sua natura preventiva non è giustificata dalla presenza di un pericolo reale. In questa grande anomalia proliferano i tanti “errori” giudiziari, che non sono errori in senso stretto, ma sistematiche applicazioni della legge, particolarmente inique.